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Sanremo è sentimentalista: Bisio difende Baglioni, l’Italia si commuove per i Bocelli

di Francesco Prisco

Sanremo, Baglioni: non sarà un Festival politico ma di canzoni

6' di lettura

Temevate un Sanremo sovranista? State tranquilli: il secondo festival di Claudio Baglioni direttore artistico è piuttosto un festival sentimentalista. Più tradizionale rispetto a quello dell’anno scorso. Lo dice, tanto per cominciare, la classifica parziale rilasciata martedì notte, alla fine della prima puntata, stutturata sulla base del voto della giuria demoscopica che pesa per il 30%. Nella zona alta, quella blu, si sono piazzati Ultimo, Loredana Bertè, Daniele Silvestri, Irama, Simone Cristicchi, Francesco Renga, Il Volo, Nek; nella zona gialla, quella intermedia, Enrico Nigiotti, Federica Carta e Shade, Boomdabash, Negrita, Paola Turci, Anna Tatangelo, Patty Pravo con Briga, Arisa; nella zona bassa, quella rossa, Mahmood, Achille Lauro, Nino D’Angelo e Livio Cori, Einar, Ghemon, Motta, Ex-Otago, The Zen Circus. Della serie: le novità c’erano, ma per ora restano lontane dal podio.

Share al 49,5%, in calo
La prima serata è stata seguita in media su Rai1 da 10 milioni 86 mila telespettatori con il 49.5% di share. Un risultato in calo rispetto al 2018, quando la prima serata del festival aveva ottenuto in media su Rai1 il 52.1% di share con 11 milioni 603 mila telespettatori.

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La notte dei sentamentalismi
Per il resto cosa si è visto? Bocelli che si sfila lo stesso «chiodo» che 25 anni fa lo accompagnò al trionfo sul palco dell’Ariston e lo cede simbolicamente al figlio Matteo come «passaggio del testimone». L’Amarcord di Giorgia, Bisio che, semiserio, fa un appello, ai «giornalisti seri, non agli odiatori professionisti», affinché lascino da parte le polemiche sul conflitto d’interessi di Baglioni che invece «ha un grande cuore». Baglioni che chiede una standing ovation per ricordare Fabrizio Frizzi. Eggià, c’è un grande scudo sul secondo Sanremo di Baglioni e ha a che fare con i buoni sentimenti. È come se gli autori, dopo un mese di polemiche - politiche e non - che hanno accompagnato la gestazione del 69esimo festival della canzone italiana, avessero voluto fare appello a quanto di più intimo dovrebbe unire un Paese diviso, in questo particolare momento storico, come lo è stato poche altre volte dal dopoguerra a oggi.

Il festival dell’armonia (e dei problemi tecnici)
Poi magari l’audio lascia a desiderare in quasi la metà delle canzoni eseguite, l’orchestra s’impalla prima del brano di Patty Pravo, i siparietti comici con Claudio Bisio e Virginia Raffaele non sempre funzionano (piuttosto mesto quello della Famiglia Addams e quello con Pierfrancesco Favino nei panni di Freddie Mercury). Pure questa è Italia, in questo che vuole essere il festival dell’Armonia. Baglioni fa meno concessioni al proprio repertorio rispetto alla precedente edizione, probabilmente per evitare di aggiungere polemiche alle polemiche. In compenso parla tanto. «Siamo qui - spiega all’avvio - per vivere una nuova avventura con energia, euforia, poesia, per un cammino lungo da qui fino a sabato che ci porti verso la meta dell’armonia, che è il senso di questo avvenimento. L’armonia, principio fondamentale della musica, è un percorso verso la bellezza, non è una condizione di partenza, ma di arrivo, a volte difficile, è un traguardo, un percorso che consiste nel collegare elementi e significati diversi lontani, opposti, come nel simbolo yin e yang che ispira il numero 69. Facciamo allora un buon viaggio tutti insieme», conclude il direttore artistico.

Sanremo, le immagini della prima serata

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Andrea Bocelli passa il testimone al figlio
Il sentimentalismo, dicevamo. Il primo momento ascrivibile al genere lo dobbiamo ad Andrea Bocelli che, esattamente 25 anni dopo, torna a eseguire sul palco dell’Ariston Il mare calmo della sera, stavolta duettando con Claudio Baglioni. E il tenore toscano è il primo a guadagnarsi una standing ovation, lui che quest’anno è stato primo nelle classifiche Usa e Uk. «Molto del merito - ha commentato - ce l’ha questo pubblico. Se 25 anni fa non si fosse alzato, la mia vita sarebbe stata diversa». Quindi arriva il momento del duetto con il figlio Matteo, cui papà Andrea consegna simbolicamente il giubbotto di pelle che indossava 25 anni prima all’Ariston. Insieme cantano Follow me. «È una specie di passaggio del testimone», spiega.

Il ricordo di Frizzi
Una standing ovation dall’Ariston arriva pure quando Baglioni ricorda Fabrizio Frizzi, «un amico che avrebbe voluto tanto presentare Sanremo e io l’anno scorso ci avevo anche pensato», dice Baglioni a proposito del presentatore scomparso l’anno scorso. Nel giorno in cui avrebbe compiuto 61 anni, Sanremo omaggia Frizzi. «Per me - dice il direttore artistico - Fabrizio era un grande, bizzarro e sincero sorriso, per questo ci piace ricordarlo così, con le braccia aperte, proprio come Modugno mentre canta Volare».

Bisio, difesa (semiseria) di Baglioni
Se a Virginia Raggi dobbiamo la gag non proprio felicissima del saluto a casa inviato ai Casamonica, a Bisio toccherà l’onere di un intermezzo comico che rilegge il songbook di Baglioni come quello di un pericoloso sovversivo. Una prova? «Passerotto non andare via era un appello rivolto ai migranti affinché rimanessero in Italia». Cosa ancora più grave: «Addirittura 30 anni prima che arrivassero. Diciamolo: è stato Baglioni a ispirarli e a farli venire qui allora!» Il breve monologo del comico milanese si chiude con un duetto con il cantautore sulle note di Io sono qui e l’appello «ai giornalisti seri, non agli odiatori professionisti», di smetterla con le polemiche sul conflitto d’interessi. E con un appello al mondo Rai: Baglioni «ha un grande cuore, una grande testa oltre che una grande voce, se vi fidate di lui, di noi, lavoreremo benissimo».

I vecchi e i giovani
Il concorso a 24 concorrenti non scalda. Francesco Renga si cimenta con Aspetto che torni, il più classico dei poppettini sanremesi, pieno di reminiscenze melodiche dalle parti di Francesco De Gregori e Lucio Dalla. Un’altra luce è il prodotto del team up partenopeo Nino D’Angelo-Livio Cori alle prese con un’escursione in territorio urban. Nek insiste con la sua lunga fase Coldplay, ma Mi farò trovare pronto non suona ispiratissima. Agit prop indie per gli Zen Circus che eseguono L’amore è una dittatura accompagnati da sbandieratori con caschi delle «ss», bandiere nere e cuori rossi. Il Volo punta al cuore del pubblico più anziano del festival con Musica che resta. Effetto Vasco Rossi per Loredana Berté che esegue Che cosa ti aspetti da me, guarda caso un pezzo di Gaetano Curreri. L’Argentovivo di Daniele Silvestri, storia di un ragazzino che si sente imprigionato, è un interessante crossover tra pop e rap tutt’altro che disimpegnato. Tormentone giovanilistico per Federica Carta e Shade su Senza farlo apposta. Programmato per vincere sembra Ultimo, con la ovvia ballad I tuoi particolari. Su L’ultimo ostacolo graffia la voce di Paola Turci, non esattamente alla sua migliore prova sanremese. Motta, in Dov’è l’Italia, sembra uscito dalla riserva indie per inseguire gente tipo Ermal Meta nei campi del politically correct. Il più ottimistico dei raggamuffin per i Boombdabash che strizzano l’occhio agli affezionatissimi dei tormentoni estivi con Per un milione.

La falsa partenza di Patty Pravo
Falsa partenza per Patty Pravo e Briga che, per problemi tecnici, devono attendere alcuni secondi prima di poter eseguire la non proprio ispiratissima Un po’ come la vita. «Oh, ma che siamo venuti a fare una passeggiata?», si chiede la ex ragazza del Piper prima che l’orchestra finalmente parta. Simone Cristicchi sprizza buonismo a litri sulla ballad rappata Abbi cura di me. Achille Lauro trappa sul riff punk di Rolls Royce, Arisa kitsch quanto mai con Mi sento bene, i Negrita autocelebrativi su I ragazzi stanno bene, virata neo soul per Ghemon e le sue Rose viola, secchiate di giovanilismo nelle Parole nuove di Einar, prova di cantautorato acqua e zucchero per gli Ex-Otago (Solo una canzone). Anna Tatangelo (Le nostre anime di notte) copia carbone di sé stessa, Irama (La ragazza con il cuore di latta) con la solita ricetta che mescola rap e pop, buona per acchiappare i teenager. A dir poco imbarazzante la cascata di miele che Enrico Nigiotti scatena con Nonno Hollywood. Mahmoud prova poi a calare in habitat sanremese il mantra trap dei Soldi.

Sanremo, volemose bene
Effetto nostalgia pure per Giorgia che rievoca la sua prima apparizione sanremese, anche in questo caso 25 anni dopo, e per Claudio Santamaria «quarto componente del Quartetto Cetra» con Baglioni, Bisio, Raffaele. Se doveva essere tradizione contro innovazione, per ora la tradizione vince facile. È Sanremo, volemose bene.

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