Economia

Savona, da mina vagante del governo al passo in Consob

Arrivato nell'esecutivo come riferimento degli euroscettici, ha richiamato alla disciplina Lega e M5s. Uscito dai radar negli ultimi mesi, chiuderà nella trincea dell'Autorità dei mercati la sua lunghissima carriera

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ROMA - Divisivo, si direbbe oggi. Ma il lessico dei colleghi, più o meno della sua generazione, è più esplicito. Come quello usato da Vincenzo Visco, ministro del Tesoro dei governi di centrosinistra, che in una intervista, prima della contrastata nomina a titolare degli Affari Europei, disse che le posizioni di Paolo Savona sono "in modo radicale e suicida antitedesche" e questo - aggiunse - "può creagli e crearci dei problemi".

Così più che divisivo, il candidato della Lega alla carica di ministro dell'Economia poi declassato agli Affari europei, si preannunciava come una vera e propria mina vagante. I rumori di guerra si sentirono subito: un gruppo di economisti, capeggiato dal suo allievo, Antonio Maria Rinaldi, raccolse firme per pubblicare un appello in suo favore su settimanali e quotidiani. Un caos nell'accademia, divisa tra estimatori senza dubbi e nemici implacabili.

Nei giorni dell'estate scorsa a ridosso della polemica con il Quirinale che gli sbarrò la strada di Via Venti Settembre il rischio-Savona arrivò ad essere prezzato sui mercati. "Per noi è una sorta di Dottor Stranamore dell'economia", raccontava un operatore dopo l'ennesima giornata negativa tra spread e Borsa. Oltre al carattere, non proprio conciliante gli veniva imputata la firma sotto il cosiddetto "Piano B": il dettagliato dossier per far uscire l'Italia dall'euro in un week end. Per molti come nel film di Stanley Kubrick, Savona non avrebbe esitato a premere il bottone rosso e a scatenare la bomba atomica sui mercati.

La spiegazione ufficiale di Savona è che si trattava semplicemente di un "colpo in canna" per rafforzare la posizione negoziale dell'Italia: "Se si sapesse che l'Italia ha un piano B per uscire dall'euro, la Germania e gli altri paesi si troverebbero costretti a dover valutare gli effetti che essi pagherebbero in termini di valore del cambio e di chiusura del mercato italiano ai loro prodotti, e ci tratterebbero con minore aggressività", ha scritto qualche anno fa l'ottantaduenne economista sardo in un libro sul "Caso Italia".

Ma le turbolenze che si avvertirono allora in quel triangolo politico che fa perno sul Quirinale riguardano anche altri aspetti: ad esempio le dimissioni di Savona, avvenute a ridosso delle voci di nomina, dalla guida Fondo lussemburghese Euklid con una nota che le motivava frettolosamente, e con poco fair play istituzionale, "per sopravvenuti importanti impegni pubblici in Italia". Incarico che oggi torna tra i motivi ostativi all'insediamento alla Consob non essendo trascorso ancora un anno da quell'impegno diretto in una società che opera sul mercato.

Certo, la lunga carriera di Savona, coronata da una montagna di pubblicazioni, ha più il sapore di puro establishment da Prima Repubblica che di freschezza iconoclasta gialloverde. Cominciò in Bankitalia con Guido Carli, come tutti sanno, ma la sua cifra in quegli anni fu quella del tecnico di area repubblicana, come si diceva una volta. Uno dei suoi primi incarichi fu quello di consigliere economico di Ugo La Malfa, nel governo Rumor IV, circa mezzo secolo fa, era 1974-1975, poi un cursus che lo portò a conquistare le maggiori posizioni nel Paese, favorito dalla sua capacità di lavoro e dalla rendita di posizione del suo partito.

Nel 1976 approda alla direzione generale della Confindustria, quindi una lunga carriera di incarichi tra pubblico e privato e l'amicizia con Cossiga: presidente del Credito Industriale, del Fondo interbancario di tutela dei depositi, della Gestifondi, delle società Impregilo, di Gemina, Aeroporti di Roma e del Consorzio Venezia Nuova. Spicca Impregilo, gigante dei grandi lavori che, come è stato ricordato nei giorni giorni della contrastata nomina a ministro, gli costò un'inchiesta poi archiviata.

Mai stanco di sorprendere e di giocare come il gatto con il topo con i giornalisti alla ricerca di una sua battuta ad effetto, Savona ha sorpreso di nuovo. Arrivato al governo come il Grande Vecchio degli euroscettici, ha deposto le armi e soprattutto mentre i gialloverdi, Di Maio e Salvini, si giocavano la reputazione prendendo a pizze in faccia Juncker e Moscovici, lui tenne il profilo basso. Anzi a metà novembre, quando le cose cominciarono veramente a mettersi male per l'Italia in un consiglio dei ministri richiamo i colleghi a maggiore saggezza.

La smania della provocazione tuttavia non lo abbandona, anche se la lascia alla sfera intellettuale. Scrive un paper sull'Europa. Già dal titolo è riservato alle elite: "Politeia per un'Europa più forte e più equa". Evoca grandi riforme: Bce come prestatore di ultima istanza e senza limiti, grande piano di investimenti per portare il Pil al 3 per cento, tasse sulle imprese perché sono le uniche a guadagnare dal surplus commerciale italiano. Sul "Sole 24 Ore" ipotizza anche una patrimoniale o una sorta di consolidamento del debito con tanto di allungamento di scadenze.

Da dicembre si eclissa. Forse deluso, come tutti gli intellettuali dall'attività di governo. Forse perché pensava al suo buen retiro in Sardegna. "Non so cosa sta accadendo alle mie spalle", dichiara sornione a chi gli chiede della presidenza della Consob. E già pensa a come potrà chiudere in trincea la sua lunga carriera.