Cinque scimmie clonate per aiutare a studiare tumori, artrite e diabete. E topi a ‘ereditarietà pilotata’. Sono gli ultimi esperimenti presentati sulle riviste National Science Review e Natureche secondo gli scienziati, potranno favorire la ricerca scientifica, riducendo costi e tempi delle sperimentazioni e diminuendo il numero di animali impiegati. Gli ultimi animali da laboratorio sono stati progettati grazie alla tecnica Crispr/Cas9, che taglia e incolla il Dna.

“È un risultato molto importante – commenta il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata – perché finora non abbiamo mai avuto modelli animali adatti a studiare malattie multifattoriali: pensiamo ad esempio agli insuccessi registrati negli esperimenti fatti sui topi contro l’Alzheimer“. Proprio questi fallimenti avevano spinto a intraprendere una via alternativa, “quella delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), che permettono di ricreare la malattia in provetta usando le cellule dello stesso paziente per testare i farmaci più efficaci”.

Il primo esperimento ha portato cinque nuove scimmie in un’incubatrice dell’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia cinese delle scienze a Shanghai, subito finite nella copertina di National Science Review in quanto le prime ad essere clonate a partire da un esemplare con il Dna ritoccato. I ricercatori cinesi sono intervenuti su embrioni di scimmia silenziando il gene Bmal1 che regola l’orologio biologico e il ritmo sonno-veglia, ottenendo delle scimmie adulte insonni. Una di queste è stata poi clonata come la pecora Dolly, il primo mammifero clonato (era il 1996), con la stessa tecnica che un anno fa aveva portato alla nascita, sempre in Cina, delle prime due scimmie clonate, le ormai celebri Zhong Zhong e Hua Hua.

Il secondo esperimento, invece, si deve ai ricercatori dell’Università della California, che a San Diego hanno creato i primi topi a ereditarietà ‘pilotata’, dotati cioè di un’alterata trasmissione dei geni alla prole che favorisce la diffusione di alcune varianti nella popolazione rispetto ad altre. Come riporta Nature, sono i primi mammiferi su cui viene sperimentata con successo una reazione a catena genetica, chiamata ‘gene-drive’, che finora era stata tentata solo su insetti come le zanzare portatrici di malaria. I ricercatori statunitensi hanno ritoccato il Dna dei topi in diversi momenti dello sviluppo di ovuli e spermatozoi in modo da aumentare la probabilità che venisse trasmessa alla prole una copia modificata di un gene (quello dell’enzima tirosinasi) che regola il colore della pelliccia. Sebbene la strategia non abbia funzionato nei topi maschi, nelle femmine ha potenziato la trasmissione della copia modificata del gene, facendo impennare la probabilità di passarlo ai cuccioli dal 50 al 70%.

Lo studio su National Science Review

Lo studio su Nature

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