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i dubbi dell'America sotto canestro

L'Nba è pronta per l'espansione

Emil Cambiganu e Andrea Lamperti

Le franchigie che si giocano l'Anello sono 30, potrebbero essere 32 a breve. Le cinque domande a cui la lega americana di basket ha cercato e sta cercando una risposta, prima di fare il grande passo.

La Nba è una lega in continua espansione, sotto ogni punto di vista. Lo sviluppo costante del prodotto è il punto cardine dell’agenda del commissioner Adam Silver, e l’ampliamento del bacino d’utenza rappresenta un mezzo per perseguire l’obiettivo. Le franchigie che compongono la Nba sono attualmente 30, ma ci sono ancora città (e mercati) importanti che bramano una squadra che le rappresenti. Di questo i vertici della lega se ne sono resi conto da tempo, e secondo Associated Press l’annuncio dell’espansione potrebbe essere imminente.

 

Un comunicato ufficiale da parte dell’Nba che sveli le tempistiche per l’aggiunta di due nuove franchigie potrebbe arrivare addirittura prima dell’inizio della stagione 2022/23, in programma il prossimo 18 ottobre.

 

Ma in che modo, a quali condizioni e con quali nuove destinazioni si potrebbe verificare uno scenario del genere? Ecco le cinque domande a cui l’Nba ha cercato e sta cercando una risposta, prima di fare il grande passo.

   

Come funzionerebbe l’ingresso di una nuova franchigia in Nba?

Una volta scelta la città e trovato l’investitore e futuro proprietario della squadra, quest’ultimo deve innanzitutto pagare un biglietto di ingresso, chiamato Expansion fee. Questa “tassa di benvenuto” si aggirerebbe intorno al valore medio delle franchigie già presenti nella lega. Se gli ultimi arrivati Charlotte Bobcats (oggi Charlotte Hornets) dovettero versare 300 milioni di dollari nel 2004, oggi l’Expansion Fee toccherebbe i 2 miliardi e mezzo.

La seconda tappa fondamentale del processo è la creazione del nuovo roster, per mezzo del cosiddetto Expansion draft. Le 30 squadre sarebbero tenute a “proteggere” un determinato numero di giocatori (nel 2004 furono 8), e la franchigia entrante avrebbe la possibilità di comporre la propria rosa con un minimo di 14 giocatori selezionati tra tutti i “non-protetti”, con il limite di poterne scegliere solamente uno per squadra. Inoltre, alla nuova squadra verrebbe arbitrariamente assegnata dalla lega una scelta all’Nba Draft (nel caso dei Bobcats, fu la quarta).

Dato che tutte le indiscrezioni suggeriscono due possibili aggiunte e dunque il passaggio a una lega di 32 squadre (soluzione pragmatica anche in termini di formula della competizione), il processo del draft di espansione risulterebbe ancora più articolato, con le nuove franchigie che dovrebbero probabilmente alternarsi nella scelta dei giocatori disponibili.

  

Quali sono i pro e i contro per Nba, squadre e giocatori?

Dal punto di vista dell’Nba, con lo sbarco su due ulteriori mercati e il ri-negoziamento degli accordi con le emittenti televisive fissato per il 2024/25, l’espansione garantirebbe un aumento considerevole del profitto. Di contro, si avrebbe inevitabilmente un ridimensionamento dello spettacolo, con le due nuove franchigie che faticherebbero a ritagliarsi uno spazio importante nella competizione, aggiungendosi al nutrito gruppo di squadre che già arrancano da qualche anno. Tuttavia, con la quantità di talento concentrata oggi nella pallacanestro statunitense, il calo sarebbe solamente momentaneo.

Il punto più critico è invece il benestare dei 30 proprietari attuali, che vedrebbero arrivare due concorrenti in più con cui dividere il talento dei giocatori e, soprattutto, i ricavi economici. A consolarli ci penserebbe l’Expansion fee, la cui erogazione verrebbe equamente divisa in 30 parti, portando circa 170 milioni di dollari nelle casse di ogni franchigia. Inoltre, nel lungo termine l’incremento del profitto generato dal prodotto porterebbe vantaggi a tutti, nonostante i due posti a tavola in più.

Infine, i giocatori avrebbero due mete in più a disposizione durante la Free agency, e la Player association potrebbe utilizzare l’esclusione degli atleti dai dividendi dell’Expansion fee come leva per ottenere vantaggi sulla regolamentazione dei contratti.

Insomma, se il prodotto cresce, tutte le parti in causa ne possono trarre in qualche modo vantaggio.

 

E quindi, in quali nuove città potrebbe sbarcare l’Nba?

Perché il prodotto possa crescere, la scelta delle due nuove case dell’Nba dovrà necessariamente considerare diversi fattori. Di natura economica in primis, ma non solo, come ci ricorda il fallimento dell’esperimento Vancouver Grizzlies (poi diventati Memphis Grizzlies) negli anni Novanta.

Al momento, le due destinazioni più accreditate sono Seattle e Las Vegas. Per la prima si tratterebbe di un ritorno, dopo i 41 anni (1967-2008) trascorsi dai SuperSonics nella lega; per la “città del peccato”, invece, sarebbe una prima volta, a 21 anni di distanza dal tentativo fallito di accogliere l’esodo dei Grizzlies da Vancouver. Entrambe nel 2022 sono state scelte per ospitare delle gare di preseason, e Las Vegas è dal 2018 la sede della Nba Summer League: insomma, le “prove tecniche” per logistica, impianti e risposta del pubblico sembra che siano state svolte.

A “Sin City”, tra l’altro, un vero e proprio impero economico (Oak View Group) si è mosso da tempo per la costruzione di una scintillante arena da 20.000 posti. E secondo l’insider Ric Bucher, tra gli ambasciatori dello sbarco in Nevada dell’Nba ci sarebbe anche LeBron James, che sarebbe “in pole position come possibile proprietario”.

A Seattle, invece, la Climate Pledge Arena - un tempo KeyArena - è già la casa dei Seattle Kraken (hockey). E non mancano, anzi, i nostalgici dei SuperSonics, in città come all’interno dell’Nba, tra cui recentemente si è segnalato il “nostro” Paolo Banchero. Nel 2013, quando i Sacramento Kings sembravano prossimi alla relocation, i tifosi hanno soltanto accarezzato l’idea del ritorno dell’Nba. In caso di espansione, invece, il sogno potrebbe tornare realtà.

Non mancano, tuttavia, altre possibilità. L’Nba sta valutando attentamente ogni possibile candidata, e tra queste figurano sicuramente Louisville, San Diego, Kansas City, Pittsburgh e Nashville. Altrimenti, la lega potrebbe decidere di varcare un’altra volta i confini nazionali: a sud verso Città del Messico, oppure a nord in direzione Montreal.

 

Una squadra Nba in Europa è una possibilità?

“Varcare i confini nazionali”, si diceva. La domanda sorge quasi spontanea: c’è una chance che l’Nba sbarchi su questa sponda dell’Oceano? Per il pubblico europeo, che ha sempre risposto con entusiasmo alle Global games nel vecchio continente, avere regolarmente la possibilità di assistere dal vivo a partite Nba sarebbe eccezionale. E per la lega stessa si tratterebbe di un ampliamento del bacino d’utenza non indifferente. Gli ostacoli logistici, però, sono attualmente impossibili da sormontare.

Le squadre che hanno disputato le ultime Global games, infatti, hanno sempre avuto bisogno di quattro giorni almeno di riposo, motivati dalla lunghezza del viaggio e dall’adattamento al fuso orario. È stato lo stesso Adam Silver a sottolineare l’incompatibilità di tutto ciò con il calendario Nba: “Finché la nostra stagione sarà così lunga, giocare regolarmente in Europa richiederebbe troppi giorni di riposo.”

Ridurre il numero di partite di Regular Season (82 per ogni squadra), causando un vuoto nei ricavi e danneggiando l’intero business, attualmente non sembra un’ipotesi contemplata dall’Nba. Inoltre, nel momento in cui l’ipotetica squadra europea si qualificasse per i playoff, come si potrebbe ovviare al problema? Probabilmente, in Europa facciamo prima ad aspettare che il progresso tecnologico ci consegni un mezzo di trasporto più rapido per spostarsi da una sponda all’altra dell’Oceano…

 

A proposito di calendario: come cambierebbe la stagione Nba?

Presumibilmente ogni team continuerebbe ad avere in programma 82 partite di stagione regolare all’anno, per i motivi menzionati in precedenza. E non c’è motivo per immaginare un cambiamento nella struttura dei playoff. Ciò che inevitabilmente sarebbe soggetto a revisione, invece, sarebbe la distribuzione delle squadre nelle due Conference, Est e Ovest. Ipotizzando l’introduzione di Las Vegas e Seattle, infatti, la Western Conference si troverebbe composta da 17 squadre, e dunque una di queste dovrebbe trasferirsi a Est.

Geograficamente, l’opzione più logica sarebbe Memphis, ma i Grizzlies sono stati protagonisti nell’ultimo decennio di alcune delle rivalità “occidentali” – con Spurs, Clippers, Thunder e Warriors – che hanno appassionato maggiormente il pubblico Nba. Per questo, la scelta potrebbe ricadere sui Timberwolves, essendo Minneapolis la seconda squadra più vicina alla East Coast.

Discorso diverso, invece, se una delle due nuove squadre fosse situata nella parte orientale degli Stati Uniti, come nel caso di Louisville, Kansas City, Pittsburgh o Nashville. In uno scenario del genere, l’Nba si troverebbe automaticamente con 16 squadre per ognuna delle due Conference, senza la necessità di un adattamento.

L’annuncio, come detto, potrebbe arrivare da un momento all’altro. I tempi sono maturi. E sicuramente l’Nba è una lega che non hai mai opposto resistenza al cambiamento.

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