Il Qatar esce dall’Opec, punta ad aumentare del 50 per cento le sue esportazioni di gas e diventare leader mondiale nel campo dell’energia. La dirigenza di Doha ha deciso di passare al contrattacco dopo un anno e mezzo di blocco imposto dall’Arabia Saudita. Ritiene che il momento è favorevole, con Riad indebolita dal caso Khashoggi e il mercato degli idrocarburi in una fase di violenta ristrutturazione. È convinta che il futuro sia nel metano, la fonte fossile meno inquinante, un passaggio indispensabile verso un mondo a basse emissioni di anidride carbonica. Ma alle ragioni economiche si affiancano quelle politiche. Il colpo di piccone all’organizzazione, fondata nel 1960 e simbolo della riscossa araba negli Anni Settanta, è considerato negli ambienti del settore «senza precedenti» e tale da spingere «altri a fare lo stesso». E lo sgretolamento dell’Opec giova soprattutto al Qatar, poco legato al corso del greggio, mentre mette in difficoltà l’Arabia Saudita, padrona di casa e più interessata a mantenere alti i prezzi.

L’emirato, grande come le Marche e con 2,6 milioni di abitanti, sesto Paese più ricco al mondo per reddito pro capite, punta a battere il rivale saudita, dodici volte più popoloso. L’annuncio arriva di prima mattina. È il ministro dell’Energia Saad Sherida al-Kaabi, in una conferenza stampa a Doha, a precisare che il passo verrà fatto «a gennaio del 2019» e che il suo governo, senza più vincoli, «aumenterà la produzione di gas da 77 milioni di tonnellate all’anno a 110 milioni». Cioè equivale «ad accrescere la produzione di barili di greggio equivalenti da 4,8 milioni al giorno a 6,5».

Il Qatar punta anche a «mantenere la leadership mondiale nell’esportazione di Lng», vale a dire metano liquido. I dettagli tecnici rivelano le ambizioni geopolitiche. Se infatti Doha è un nano per il greggio, 700 mila barili al giorno contro gli 11 milioni dell’Arabia Saudita, nel gas è un gigante: ha il 14 per cento delle riserve mondiali. Come riassume in un Tweet il decano degli analisti mediorientali Joshua Landis, il piano è «schiacciare i sauditi».

Per Riad è uno choc. Quando il 5 giugno 2017 Mohammed bin Salman ha imposto il blocco da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto, pensava di piegare il piccolo emirato in poche settimane. I confini terrestri e marittimi sono stati sigillati, chiuso lo spazio aereo, bloccata la gran parte delle importazioni di cibo e beni di prima necessità.

Doha ha reagito, chiesto aiuto militare alla Turchia, pescato 40 miliardi dall’immenso Fondo sovrano. Ora, come spiega Theodore Karasik, senior advisor al Gulf State Analytics di Washington, la dirigenza qatarina «ritiene di poter far meglio fuori dall’Opec, dove ha un ruolo non più adeguato alle proprie ambizioni». Ma soprattutto vuole «distanziarsi dall’Arabia Saudita, perché è convinta che Riad sia la vera fonte di instabilità nella regione, e che presto arriveranno altri choc», cioè nuove avventure di Mbs.

L’afflusso finanziario che arriverà dal gas servirà a creare un fortino inattaccabile. E a condurre una offensiva politica in tutta la regione. Sono finiti i tempi in cui il Qatar era considerato il «fratello minore» dell’Arabia Saudita, conferma Ali Alahmed, direttore del think thank Gulf Affairs e molto critico con Riad. Nella sfida fra il 33enne Bin Salman e il 38enne Tamim bin Hamad Al-Thani, è quest’ultimo «il favorito» perché può contare su riserve potenziali per «45 mila miliardi di dollari». In ballo c’è la leadership nel mondo sunnita. Mbs vuole arrivarci dopo aver schiacciato «l’islam politico», cioè i Fratelli musulmani, e messo in ginocchio l’Iran sciita. Al-Thani la pensa all’opposto. La sfida è solo all’inizio.

I commenti dei lettori