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'Schindler's List', 25 anni dopo il film da sette Oscar di Steven Spielberg è ancora potente

Grazie al carisma di un eroe il regista riuscì a raccontare, in bianco e nero, la tragedia della Shoah senza utilizzare filmati d'epoca. Una fiction che ha saputo toccare il cuore di milioni di spettatori su un tema ancora sensibile: con il solo ausilio di una macchia di colore, rossa come il sangue

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Vissero di certo una serata di forti emozioni coloro che, il 30 novembre a Washington e il 1 dicembre a New York, venticinque anni fa assistettero alle prime proiezioni pubbliche di Schindler’s List. Si trovarono davanti a un film grandioso, tre ore e un quarto di immagini in bianco e nero in cui uno Steven Spielberg insolitamente 'adulto' narrava una tragica vicenda realmente accaduta nella Polonia della Shoah.


Oskar Schlinder, industriale tedesco playboy e all’apparenza cinico, scopre poco a poco l’orrore della sorte che il nazismo riserva agli ebrei, usandoli come mano d’opera gratuita nelle fabbriche prima di sterminarli. La presa di coscienza lo induce a impiegarne molti in una fabbrica di armamenti, procurandosi autorizzazioni e deroghe per tenerli presso di sé. Accanto alla fabbrica c’è un campo di lavoro diretto da Amon Goeth, psicopatico comandante delle SS che si diverte a sparare ai prigionieri. Nel 1943 Schindler dovrà assistere, impotente, alla strage del ghetto di Cracovia; ma riuscirà a salvare le vite di 1100 operai trasferendoli in una nuova officina in Cecoslovacchia, dove fabbricheranno armi inutilizzabili.

Vincitore di sette Oscar, inscritto nella lista dei dieci film americani migliori di sempre, nei 25 anni passati Schindler’s List ha raccolto enormi consensi e una folla di spettatori. Il progetto, però, era troppo audace per non andare incontro a polemiche. In una intervista a Newsweek Spielberg dichiarò che il film coincideva, per lui, con la scoperta della realtà. Perciò aveva voluto realizzarlo in bianco e nero, con uno stile quasi documentaristico e senza far uso di storyboard, rinunciando agli effetti cinematografici che lo avrebbero potuto spettacolarizzare. Tutto ciò per rispetto a Shoah, il monumentale documentario realizzato da Claude Lanzmann nel 1985. Lanzmann, però, riteneva che si potesse raccontare lo sterminio solo attraverso le interviste ai sopravvissuti, mai in forma di fiction. Cosa che, invece, Spielberg fa a tutti gli effetti, dando al protagonista il carisma di un eroe e alle vicende l’andamento di una (terribile) avventura.

Venticinque anni di Schindler's List: la scena del cappotto rosso


Schindler è un personaggio affascinante e ambiguo, un giocatore che applica il bluff ai rapporti con i nazisti, rischiando in proprio per la salvezza altrui. Se è vero che “chi salva una vita salva il mondo intero”, come recita la frase del Talmud citata nel film, lui di vite ne salva 1100, utilizzando la sua fabbrica come antidoto e riparo alla mostruosa fabbrica di distruzione del III Reich. Un episodio, in particolare, fu rimproverato a Spielberg per il suo contenuto emozionale ritenuto ricattatorio, quello della bambina con in cappottino rosso. In una sequenza in bianco e nero stampata su pellicola a colori, si distingue una sola macchia cromatica: la bimba che spicca nella massa grigia delle vittime del ghetto.

Più tardi Schindler, e con lui lo spettatore, la riconoscerà tra i cadaveri dal cappottino colorato che indossa. Qui, in effetti, il film impone un capriccio percettivo che induce nello spettatore emozioni 'pilotate'. Però l’episodio implica anche un aspetto più sottile. Riconoscere la bambina innesca in Schindler un processo d’individuazione rispetto alla massa, fino a quel momento anonima, dei trucidati; contribuendo a fargli vedere gli ebrei come singole persone, e quindi a proteggerli. Troppo ambizioso per andare esente da obiezioni e riserve, Schindler’s List resta comunque un grande film. Che non sostituirà i materiali d’archivio sulla Shoah, però ne è una testimonianza di tutto rispetto.