30 novembre 2018 - 21:48

Formazione e lavoro,
il buon esempio
arriva dall’Emilia-Romagna

Mentre la manovra del governo convince poco per la carenza di misure per promuovere formazione e lavoro, in tre anni nella regione di Bologna la disoccupazione è stata ridotta dall’11 al 5,9%

di Edoardo Segantini

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 (Xavier Poiret) (Xavier Poiret)
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Una critica alla manovra del governo riguarda la mancanza di misure concrete e convincenti per la crescita economica: in particolare per promuovere l’occupazione e la formazione. La fondatezza di questa critica è riscontrabile, in positivo, nei risultati ottenuti in Emilia-Romagna. Dove in tre anni, dal 2015 al 2018, la disoccupazione è stata ridotta dall’11% al 5,9%. Si è potenziata l’attività formativa e si è sviluppata la collaborazione tra la rete delle imprese e le accademie. La Muner, l’Università creata dalle maggiori aziende della Motor Valley come Dallara, Ducati e Lamborghini e dai quattro antichi atenei della regione, forma specialisti dell’auto. Ed è solo la prima di cinque super scuole in programma. Il Centro europeo per le previsioni meteo, di cui ha parlato nei giorni scorsi il Corriere, rientra in una strategia di specializzazione nel campo dei big data. Che punta a far diventare Bologna e l’Emilia-Romagna un hub internazionale nel settore.

Diciamo questo non per sostenere che esista un «modello emiliano» esportabile in tutto il Paese: certe peculiarità storiche come i distretti industriali della regione (non solo la Motor Valley) sono difficilmente replicabili. Così come sarebbe velleitario tentare di applicare altrove la strategia emiliana sui dati, che si fonda sulla presenza dei maggiori centri di calcolo italiani, il più noto dei quali è il Cineca. Alcune ricette però si potrebbero riusare: a partire dalla formazione e dalla collaborazione tra istituzioni, imprese, scuole e sindacati. Un ruolo importante, in Emilia-Romagna, lo ha svolto l’iniziativa di Patrizio Bianchi, economista e assessore regionale. Che ha aiutato le imprese a diventare luoghi formativi, capaci di creare le figure professionali che servono all’industria 4.0 e che le aziende spesso non trovano. L’occupazione insomma è cresciuta grazie a un percorso collaborativo pubblico-privato che meriterebbe di essere studiato e seguito in tutto il Paese.

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