30 novembre 2018 - 14:39

Perché le balene si spiaggiano? Le risposte degli esperti

La questione è complessa e il confronto tra gli esperti dura da decenni. Le cause possono essere diverse: ambientali ma anche dei singoli individui

di Sara Moraca

Perché le balene si spiaggiano? Le risposte degli esperti
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Perché i cetacei si spiaggiano? La questione è complessa e il confronto tra gli esperti dura da decenni.

Le ipotesi messe in campo sono varie, ma è possibile affermare con ragionevole certezza che tale evento può essere provocato, di volta in volta, da cause diverse, singole o correlate. Parlando di cause individuali, ad esempio, possiamo pensare a quegli animali che per patologie o situazioni di difficoltà si avvicinano alla costa, dove trovare un bassofondo sul quale poggiarsi e respirare senza sforzo. La causa dello spiaggiamento può variare da specie a specie, anche in relazione alla tipologia di comportamento sociale: talvolta, come accaduto per lo storico spiaggiamento di Vasto del 2014, gli individui del branco seguono fino a terra quello o quelli di loro che sono in difficoltà.

Possono esserci cause ambientali: anche se non c’è una correlazione causale diretta tra inquinamento e fenomeni virali di questo tipo, è stata registrata una corrispondenza tra animali malati e concentrazioni di sostanze inquinanti nei loro tessuti.

Inoltre, è noto che anomalie locali nel campo geomagnetico, alle quali i cetacei sono sensibili, possono disorientare questi animali. Gli spiaggiamenti avvengono in tutto il mondo, ma risultano più concentrati in alcune aree del pianeta: Nuova Zelanda, Australia e Cape Cod nel Massachusetts registrano una frequenza del fenomeno molto più alta rispetto alla media globale. Queste località hanno alcune caratteristiche in comune: la posizione geografica, la presenza di litorali bassi e sabbiosi, dove sono presenti sedimenti molto sottili. Uno studio Nasa, iniziato nel 2016, sta cercando di far luce proprio su questi fattori.

Un’altra delle ipotesi che è stata avanzata per spiegare gli spiaggiamenti di massa è legata alla possibile interferenza di tecnologie di ecoscandaglio come i sonar, utilizzati solitamente per mappare il fondale marino e individuare siti ideali per le attività di pesca, sul sistema di orientamento dei cetacei. Il fenomeno è stato indagato anche dallo studio “Swimming and diving energetics in dolphins: a stroke-by-stroke analysis for predicting the cost of flight responses in wild odontocetes”, condotto da Terrie M. Williams dell’Università della California e pubblicato sulla rivista Journal of Exoperimental Biology. Finora, pochi studi avevano indagato il costo energetico che un cetaceo deve sostenere quando mette in atto una flight response, perché disturbato da una tecnologia di ecoscandaglio. Lo studio ha chiarito che quando un cetaceo fugge da un sonar a basse frequenze, mette in atto un movimento che richiede il 30% di energia in più rispetto a quella che verrebbe utilizzata in un moto natatorio standard. Ad esempio, i ricercatori sono riusciti a stimare che un tursiope consuma circa 3,3 joule per chilogrammo di peso a ogni colpo di pinna e circa il doppio nuotando sotto sforzo. Inoltre, Brandon Southall, esperto di bioacustica del Noaa che ha preso parte alla ricerca, ha chiarito che lo zifio (Ziphius cavirostris), reagisce ai sonar passando dai 13,6 battiti di pinna al minuto a 17 al minuto. Anche se questo studio può aiutare a comprendere l’effetto che i sonar hanno sui cetacei, per Antti Pulkkinen, ricercatore di fisica teoretica alla Nasa e coinvolto nella ricerca sugli spiaggiamenti, queste cause antropiche non sono sufficienti per spiegare la maggioranza degli spiaggiamenti: «Le teorie devono includere anomalie magnetiche ed eventi metereologici, come le forti maree che si verificano durante la luna nuova o le tempeste costiere, che sono in grado di disorientare gli animali», spiega al Corriere Pulkkinen.

Un’eventuale correlazione tra spiaggiamenti e fenomeni astronomici deve potersi inserire in un quadro più ampio di fenomeni. Gli spiaggiamenti di cetacei sono una fonte di informazioni notevole perché dalle carcasse recuperate si possono ricavare notizie e dati riguardanti la biologia, l’ecologia, le patologie delle specie coinvolte e il livello di contaminazione e quindi lo stato di salute dei nostri mari.

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