Il summit del consenso a Madrid

Erdogan toglie il veto, la Nato si apre a Svezia e Finlandia

Giulia Pompili

Dopo un quarto round di negoziati di oltre tre ore il presidente turco Erdogan, il finlandese Niinisto, la svedese Andersson e il segretario generale della Nato Stoltenberg hanno firmato un memorandum d’intesa nel quale si impegnano a collaborare. Le preoccupazioni dell'Alleanza 

Mentre i leader dei paesi membri della Nato iniziavano ad arrivare nella capitale spagnola, l’agenzia spaziale russa Roscosmos pubblicava sul suo sito le coordinate geografiche e le immagini satellitari dell’Ifema di Madrid, sede dell’atteso Summit della Nato. La prima giornata di vertice si è chiusa con un messaggio intimidatorio da parte del Cremlino, ma anche con un passaggio epocale per la storia dell’Alleanza: la Turchia ha annunciato di aver trovato un accordo per l’ingresso nella Nato dei due paesi candidati, Finlandia e Svezia. Dopo un quarto round di negoziati di oltre tre ore  il presidente turco Tayyip Erdogan,  il presidente finlandese Sauli Niinisto, la prima ministra svedese Magdalena Andersson e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sono apparsi davanti alle telecamere e hanno firmato un memorandum d’intesa nel quale si impegnano alla collaborazione “sull’export di armi e sulla lotta al terrorismo”. Da settimane la Turchia stava negoziando per ottenere qualcosa dalla rimozione del suo veto, urtata anche dal sostegno dei paesi del Nord ai curdi. Ora quell’ostacolo è crollato, ed è stato anche un  simbolo di come si prendono le decisioni nella Nato, ha detto Stoltenberg nella conferenza stampa: “Decidiamo per consenso, quindi si parla, si negozia e si arriva a una decisione”. Adesso, però,  bisognerà capire quali sono le condizioni che ha posto la Turchia (si parla di un trattato di estradizione con Ankara, che metterebbe potenzialmente  in pericolo decine di dissidenti turchi residenti in Svezia e Finlandia) e quanto sarà vincolante il memorandum per Erdogan.  

 

Certi dubbi saranno probabilmente affrontati a cena, alla serata di gala ospitata dal Re di Spagna Filippo VI: una “cena transatlantica” che viene organizzata molto di rado in queste occasioni, spiega al Foglio chi ha familiarità con l’argomento, e alla quale sono stati invitati i rappresentanti di tutti i paesi membri della Nato e di tutti i paesi membri dell’Unione Europea. Come per gli affari del Consiglio europeo, è nel luogo dell’informalità, a cena, che spesso vengono prese le decisioni più importanti.

 

Al di là dell'accordo con la Turchia, la preoccupazione di alcuni paesi europei è che l’Alleanza diventi troppo nordica e baltica, che si sposti troppo verso il fianco orientale, facendo diventare secondarie questioni come quella del Maghreb, del Sahel, del Golfo. E poi c’è la Cina: il G7 ha chiuso la riunione in Germania con un primo, ampio riferimento alle sfide che pone la Repubblica popolare cinese, e forse al Summit di Madrid, per la prima volta, si menzionerà Pechino. Il tema del Summit riguarda quindi la struttura fondamentale della Nato, la sua natura di difesa geografica o di tutela della sicurezza più ampia: “Quello che dirà il vertice è che la Nato deve guardare alla sicurezza a 360 gradi, vuole dire tutto il mondo, cybersecurity, spazio, intelligenza artificiale, non è solo combattere Putin”, dice al Foglio l’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, vicesegretario della Nato dal 2001 al 2007, ma “l’idea di una Global Nato non è nuova”.  Oggi i paesi partner dell’Alleanza aumentano, segno che è ancora attrattiva, e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto un impatto anche sull’opinione del pubblico: da simbolo dei complottismi, la Spectre armata, il Deep State transnazionale, secondo il Pew Research l’84 per cento dei cittadini dei paesi membri pensa che il proprio governo debba restare nella Nato. “Noto che anche in Italia c’è una lenta maturazione, dopo essere stata ai margini dell’Alleanza si inizia a capire che si può contare qualcosa soprattutto se si è nel gruppo delle democrazie”, dice Minuto Rizzo. L’accusa è sempre quella di essere nelle mani dell’America: “Eppure niente accade all’interno dell’alleanza senza il consenso. Certo, l’America è uno dei paesi più importanti, ma non sempre gli europei ci stanno”. In Iraq, nel 2003, la Nato non partecipò alla guerra per l’opposizione di Francia e Germania, ricorda l’ambasciatore. Così nel 2001, “il segretario generale offrì il suo aiuto all’America per cercare al Qaida, che rifiutò. Da Washington ci dissero che rallentavamo il processo, ‘non puoi fare una guerra con un consiglio’”. La burocrazia è quella che assicura le decisioni collettive. Ci sarà anche per la difesa avanzata, con l’istallazione di basi militari permanenti sul fianco orientale? “Ai nostri tempi sarebbe stato impensabile”, dice Minuto Rizzo. Ma la guerra di Putin ha cambiato tutto.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.