Sì di Bruxelles alla Brexit. Adesso May deve domare la fronda dei conservatori

I leader approvano l’accordo, il 10 dicembre voto decisivo a Westminster. La premier: «Avanti uniti», ma dal partito si sfilano in 91. Laburisti per il no

Sì di Bruxelles alla Brexit. Adesso   May deve domare la fronda dei conservatori

Siglato l’accordo sulla Brexit dopo due anni di negoziati con Bruxelles a tratti durissimi, Theresa May si prepara ad una partita altrettanto difficile, che però si gioca tutta in casa: convincere il Parlamento, e il Paese tutto, a dare l’appoggio all’intesa raggiunta, la «migliore possibile» secondo l’Ue.

La lettera alla Nazione

Westminster voterà sull’accordo di uscita il mese prossimo, con esiti incerti: potrebbe sancire la vittoria della May contro tutte le previsioni, o la fine del suo governo. Nel giorno dello storico summit che ha approvato i termini del divorzio, la premier britannica ha scritto una lettera alla nazione per difendere il risultato raggiunto. «Mi impegnerò con tutto il cuore e tutta l’anima per vincere il voto del Parlamento», promette. Ma il suo piano scontenta quasi tutti, i conservatori come opposizione laburista, e i numeri suggeriscono che potrebbe non farcela. Per Jeremy Corbyn, leader Labour, il governo ha «miseramente fallito i negoziati».

Juncker: giornata triste

Il summit di ieri ha segnato un punto di svolta per il Regno Unito dopo più di quarant’anni di integrazione, per quanto riluttante. Ma il Paese si sta ancora assestando dal terremoto politico e sociale che la Brexit ha rappresentato: la classe politica è in crisi di credibilità, l’opinione pubblica polarizzata. Il negoziato ha aperto una sorta di crisi d’identità, costringendo il Paese a cercare di definire il suo ruolo nel mondo e fare i conti con le sue debolezze. Ma alla fine si è chiuso con toni sobri, amichevoli. Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione europea, ha detto che un divorzio «è una giornata triste, tragica, non un momento da festeggiare», mentre per il capo del Consiglio Donald Tusk,«resteremo amici fino alla fine dei giorni».

I ribelli Tory

Il clima che aspetta May a Londra è invece tutt’altro che amichevole. Secondo il «Sunday Telegraph», ben 91 deputati conservatori potrebbero bocciare l’accordo quando il Parlamento sarà chiamato a votarlo, probabilmente intorno al 10 dicembre. Il Labour promette di votare in blocco per il no, come anche i nazionalisti scozzesi. Il partito unionista nord-irlandese che garantisce alla May la maggioranza ai Comuni è contrario: non è chiaro come voterà, ma la leader Arlene Foster ha fatto sapere che in ogni caso potrebbe rivedere il patto con i Tory per il sostegno al governo. May potrebbe raccattare qualche ribelle di qua o di là, ma, con una maggioranza di appena 13 deputati, è difficile immaginare come potrebbe vincere.

Le conseguenze

Una sconfitta aprirebbe scenari i più disparati: un’uscita dalla Ue «a precipizio», cioè senza accordo; un secondo voto in parlamento per scongiurare quest’ipotesi e possibile conseguente crollo della sterlina (uno schema cui secondo alcuni osservatori il governo sta pensando); un secondo referendum che, nelle speranze dei sostenitori, potrebbe bloccare l’uscita; le dimissioni della premier; elezioni anticipate e possibile governo di Corbyn. Ma tutto nella Brexit è stato caratterizzato da colpi di scena.

Le mosse della premier

In quest’incertezza, la strategia della May è a duplice: ai deputati di Westminster ha fatto capire che l’intesa e l’unica sul tavolo e che una riapertura del negoziato vagheggiata da qualcuno non rappresenta un’opzione realistica. In questo le hanno dato una mano i leader europei. «Questo è il miglior accordo possibile, l’unico possibile», ha detto Juncker, un messaggio ripetuto disciplinatamente da molti dei capi di governo dei 27. Rivolgendosi all’opinione pubblica, May ha invece sottolineato come l’accordo raggiunto consenta al Paese di guardare finalmente oltre la Brexit, di concentrarsi su altre priorità: il servizio sanitario nazionale, la crisi degli alloggi, l’ineguaglianza sociale. Una speranza più che una certezza, perché qualunque cosa succeda, Londra continuerà a dover negoziare la sua relazione futura con Bruxelles per anni a venire.

«Restiamo uniti»

Per tutti, l’appello della premier è per la pacificazione. «Il 29 Marzo il Regno Unito lascerà l’Unione Europea: sarà l’inizio di un nuovo capitolo nella nostra storia nazionale», ha scritto nella sua lettera ai concittadini. «Ma voglio che sia anche un momento di rinnovamento e riconciliazione nazionale». Con la battaglia parlamentare che incombe, è un traguardo ancora lontano.

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