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Spread, cosa succede se la febbre non si abbassa

di Rossella Bocciarelli

(donfiore - Fotolia)

3' di lettura

All’Italia non mancano elementi di solidità finanziaria, però è essenziale abbassare la febbre dello spread, per non compromettere crescita e stabilità. È il messaggio che arriva da Bankitalia, alla vigilia del confronto sulla manovra di bilancio fra il presidente del Consiglio italiano e quello della Commissione europea. Nell’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria via Nazionale ricostruisce con la forza dei numeri e dei grafici gli effetti della strana sindrome alla base del rialzo dei rendimenti sui titoli di stato che ha colpito il nostro paese a partire da maggio, mese dal quale i nostri titoli hanno perso circa il 9 per cento del loro valore.

E spiega che, all’interno di un quadro globale caratterizzato da rischi in aumento, per l’Italia oggi il fattore più preoccupante è il cocktail bassa crescita- alto debito pubblico. Due aspetti strettamente connessi sui quali può incidere pesantemente il rialzo del costo del debito e del denaro determinato dall’incertezza della politica economica. Non sono da sottovalutare, insomma, né il rallentamento congiunturale segnalato dal ristagno Pil nel terzo trimestre né i maggiori oneri che graveranno sui conti pubblici: negli ultimi sei mesi, spiega il rapporto, l’incremento dei tassi all’emissione ha determinato una maggior spesa per interessi pari a 1 miliardo e mezzo ma se continua così i maggiori oneri saranno 5 miliardi nel 2019 e 9 miliardi nel 2020.

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In questo modo aumenta il rischio che lo stock del debito pubblico tenda a salire in rapporto al Pil. Ma non è solo il bilancio dello Stato a risentire pesantemente delle tensioni sui mercati. Soffrono anche le aziende di credito: secondo i calcoli di via Nazionale un rialzo di 100 basis point nei tassi offerti sui btp comporta un aumento di circa 40 punti base dei tassi d'interesse sui depositi a termine e di 100 punti sulle nuove obbligazioni.

Non basta: un aumento di 100 punti base dei tassi sui titoli di stato intacca per 50 punti base il rapporto patrimoniale fra capitale di migliore qualità e attività bancarie (per l’esattezza il ratio si abbassa di 40 punti base nelle grandi banche e di 90 nelle banche meno grandi). Si può ridurre inoltre e in modo consistente, il valore dei fondi propri delle compagnie assicurative.

Soprattutto un simile rialzo di costi avrà effetti rilevanti (non è ancora avvenuto ma può accadere, afferma il rapporto) su famiglie e imprese. L’esperienza storica dice che in passato un aumento dello spread di 100 punti base ha comportato un rialzo dei tassi d’interesse pari a circa 70 punti per i prestiti alle imprese e di 30 punti per i mutui alle famiglie e si sono anche verificati effetti di credit crunch. È per questa strada, insomma, che si possono tarpare definitivamente le ali alla crescita economica.

Da non sottovalutare, infine, l'effetto di amplificazione negativa sui mercati che potrebbe avere, all'inizio del prossimo anno, una nuova variazione negativa del rating dei titoli di stato da parte di Moody's e le sue sorelle. È vero, spiega Bankitalia, che con la regolamentazione si è cercato di mitigare questi effetti, chiedendo agli intermediari di adottare processi interni di valutazione che non dipendano in modo meccanico dalle pagelle delle agenzie di rating. Però i mandati di gestione di chi amministra patrimoni, come le assicurazioni e i fondi di investimento, contengono spesso clausole sul rating minimo dei titoli in portafoglio. Ci sono tanti motivi, quindi, per i quali è d’obbligo la prudenza e l'attenzione a evitare di fabbricarsi da soli il proprio cigno nero.

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