Penale

Necessario chiarire se il nuovo istituto della "improcedibilità" si applica anche al processo degli enti ex Dlgs 231/2001

L'Ufficio del Massimario della Cassazione si schiera per il sì ma parte della dottrina non condivide

di Francesco Giovannini (*)

Come è a tutti noto, una delle innovazioni di più rilevante portata introdotte dalla cosiddetta "riforma Cartabia" (Legge 27 settembre 2021 n. 134) concerne l'introduzione nel sistema penale dell'istituto della "Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione", di cui al nuovo articolo 344-bis del codice di procedura penale.
Una delle questioni di non poco conto sollevate all'indomani dell'entrata in vigore della norma concerne l'applicabilità di questo istituto (anche) al processo degli enti, disciplinato dal Dlgs 231/2001. Il Legislatore (per ragioni incomprensibili: semplice dimenticanza?) non ha inteso fornire lumi al riguardo, nonostante che la tematica della responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio sia oggetto di sempre maggiore attenzione da parte della giurisprudenza, della dottrina e del Legislatore stesso.
Non risulta che la questione sia già stata affrontata dalla giurisprudenza (quantomeno di legittimità), per cui il confronto rimane, per ora, oggetto di esclusivo dibattito dottrinale.

La tesi favorevole all'applicabilità dell'"improcedibilità" al processo degli enti

A sostegno della tesi in forza della quale questo istituto sarebbe applicabile anche al processo degli enti si è già espresso (pur con una certa cautela) l'Ufficio del Massimario della Cassazione, che ha dedicato a questo aspetto alcune pagine (44-47) della sua Relazione n. 60 del 3 novembre 2021, totalmente incentrata sulla cosiddetta "riforma Cartabia".
Dico subito che questa opzione mi sembra quella preferibile per ragioni sistematiche e sostanziali.
Innanzitutto, è noto come l'articolo 34 del Dlgs 231/2001 preveda una sorta di clausola di recepimento in forza della quale al processo degli enti si applicano anche le disposizioni del codice di procedura penale, a condizione che siano compatibili con la peculiare disciplina prevista dal decreto in parola. Ne consegue che, essendo stato il meccanismo della "improcedibilità" inserito nel codice di rito (articolo 344 bis), la sua applicabilità in ambito "231" può essere esclusa solo ove si ritenesse (e dimostrasse) che il nuovo istituto sia "incompatibile", logicamente o strutturalmente, con il processo degli enti. Francamente non pare di riscontrare alcuna effettiva incompatibilità al riguardo, per cui la tesi della estensibilità della "improcedibilità" al processo degli enti non sembra trovare alcuno sbarramento di natura, per così dire, ontologica.
Peraltro, mi sembra corretta e condivisibile anche l'argomentazione "costituzionalmente orientata" avanzata dall'Ufficio del Massimario, in base alla quale tale estensione appare giustificata anche alla stregua di precetti costituzionali quali la "parità di trattamento" (tra persone fisiche ed enti) e la "ragionevole durata del processo" ex articolo 111, comma 2, Cost.; obiettivo, quest'ultimo, che è doveroso perseguire non solo in relazione ai procedimenti intentati contro le persone fisiche ma anche in quelli che vedono coinvolti gli enti, soprattutto in considerazione delle assai rilevanti sanzioni, pecuniarie ed interdittive, che possono colpire gli enti medesimi in esito al procedimento a loro carico. E' certamente auspicabile che anche l'ente non resti "appeso" a tempo indeterminato alle estenuanti lungaggini processuali, anche perché le sanzioni potenzialmente applicabili possono avere ricadute sulla stessa sussistenza futura dell'ente ovvero su alcuni aspetti tecnici e gestionali di notevole rilievo (si pensi agli accantonamenti nei bilanci delle somme necessarie al pagamento delle eventuali sanzioni pecuniarie).
Sotto altro profilo, correttamente l'Ufficio del Massimario mette in risalto la natura squisitamente processuale dell'istituto della "improcedibilità", aspetto che lo differenzia in maniera piuttosto netta dalla prescrizione, che ha, viceversa, natura "mista" (processuale e sostanziale). Non è certo un caso che le prime pronunce, di merito e legittimità, circa il regime intertemporale dell'improcedibilità in relazione al processo delle persone fisiche hanno sottolineato l'importanza di questa distinzione dogmatica tra i due istituti, con le conseguenti ricadute su aspetti assai delicati nella prassi applicativa (ci si riferisce, evidentemente, alla ritenuta impossibilità di avvalersi dell'improcedibilità in relazione ai reati compiuti in data anteriore al 1 gennaio 2020). La natura (esclusivamente) processuale della "improcedibilità" contribuisce, in sostanza, a far ritenere corretta l'estensibilità di questo istituto al processo degli enti ex Dlgs 231/2001.

La tesi contraria
Detto questo, se non c'è dubbio che la soluzione favorevole all'estensione dell'improcedibilità al processo degli enti debba considerarsi quella preferibile nell'ottica di una lettura più "lineare" e "costituzionalmente orientata" dell'istituto (come sostiene anche l'Ufficio del Massimario della Cassazione), non mi sento di escludere – in attesa di qualche autorevole pronunciamento giurisprudenziale – che una parte della dottrina possa sollevare qualche perplessità al riguardo.
Infatti, non è possibile pretermettere l'ontologica differenza tra la responsabilità (tipicamente "penale") delle persone fisiche per fatti di reato e quella degli enti, che si configura come avente una natura peculiare e a sé stante, un tertium genus (come espressamente definita dalla Suprema Corte) che non è concettualmente e strutturalmente sovrapponibile a quella propriamente penale.
Proprio tale differenza strutturale ha impedito che alcuni istituti processual-penalistici transitassero tout court nella disciplina 231/2001, in quanto considerati "incompatibili" con la stessa; si pensi, a titolo di esempio, al fatto che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidata (nonostante qualche episodica decisione contraria in sede di merito), non è consentito costituirsi parte civile contro l'ente in relazione all'illecito amministrativo dipendente da reato. Ciò per mettere in risalto che non sempre la "clausola di recepimento" di cui all'articolo 34 del Dlgs. 231/2001 consente l'automatico ingresso nel processo degli enti di istituti tipici del procedimento a carico delle persone fisiche.
Un esempio ancora più eclatante di come, in relazione a taluni aspetti o istituti, la differenza tra il processo contro gli enti e quello contro le persone fisiche si riveli talvolta marcata è dato proprio dal regime della prescrizione.
Come è noto, nell'attuale sistema il Legislatore ha già previsto e voluto che il procedimento a carico degli enti possa durare a tempo sostanzialmente indeterminato. Infatti, sappiamo tutti che, in forza dell'articolo 22 del Dlgs 231/2001 (tuttora in vigore), qualora l'illecito amministrativo dipendente da reato sia contestato all'ente entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, la prescrizione dell'illecito dell'ente rimane definitivamente interrotta, per cui può capitare (e capita) che l'ente resti "appeso" ad un procedimento anche per moltissimi anni stante la definitiva inoperatività in suo favore della prescrizione, sempre che la formale contestazione dell'illecito medesimo sia avvenuta nel termine quinquennale in parola.
Con il conseguente, possibile paradosso che l'imputato persona fisica può giovarsi della prescrizione (oggi con esclusivo riferimento al solo primo grado di giudizio, ex articolo 161 bis c.p.), mentre l'ente può conservare sine die la sua qualifica di "imputato" nel caso in cui il Pm abbia formalmente contestato l'illecito amministrativo nei cinque anni dalla consumazione del reato presupposto.
Si dirà, e a ragione, che l'estensione dell'istituto dell'improcedibilità al processo degli enti serve proprio a mitigare la possibile durata illimitata della pendenza del procedimento a carico degli enti medesimi, esattamente come accade oggi nel processo delle persone fisiche, dove l'improcedibilità è stata inserita esattamente allo scopo di contro-bilanciare gli effetti nefasti (in termini di ragionevole durata del processo e, più in generale, di civiltà giuridica) della novella legislativa che aveva inopinatamente cancellato la prescrizione nei gradi di giudizio successivi al primo.
Ciò non toglie che coloro che vorranno sostenere la tesi della non estensibilità dell'"improcedibilità" al processo degli enti avranno comunque qualche argomento a loro disposizione, basato sulla non perfetta sovrapponibilità tra le due tipologie di processo e sulla diversa natura/ratio della responsabilità delle persone fisiche rispetto a quella degli enti. Da questo punto di vista, si potrebbe anche sostenere che i precetti costituzionali posti a presidio degli individui non hanno identica portata in relazione agli enti, proprio perché la responsabilità di questi ultimi non è propriamente penale; si pensi al fatto che non sembra potersi sostenere l'esistenza di una vera e propria "presunzione di non colpevolezza" in favore dell'ente, tanto è vero che, in caso di illecito commesso dagli "apicali", in forza dell'articolo 6 del Dlgs 231/2001 incombe sull'ente medesimo l'onere della prova della sussistenza di una delle circostanze di esenzione della responsabilità dell'ente medesimo previste nel detto art. 6.
Non resta che attendere le prime pronunce giurisprudenziali su questo tema, la cui delicatezza (e le cui rilevantissime implicazioni pratiche) appare del tutto evidente. Rimane il rammarico che il Legislatore non abbia voluto eliminare ab origine ogni eventuale incertezza al riguardo.

(*) Responsabile del Dipartimento di Diritto Penale di Eversheds Sutherland – Associazione Professionale

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