Da FT all’Economist

Cosa pensa la stampa estera di Draghi al Quirinale

Tutti esaltano i successi di Draghi ma tutti vedono anche il bivio in cui si trova il paese

Quirinale, Conte: "Draghi timoniere governo, non ci sono condizioni per fermare motori"

4' di lettura

Un «eccezionale periodo di stabilità» potrebbe andare in fumo se Mario Draghi diventasse presidente della Repubblica ma se non lo diventasse l’attuale premier ne uscirebbe indebolito. È questo il dilemma di cui in questi giorni ha parlato la stampa estera. Ha iniziato il 20 gennaio il Financial Times con un editoriale in cui ha ricordato i successi di Draghi al governo, dalla vaccinazione di massa all’economia: «Gli italiani hanno visto che il cambiamento è possibile» anche se è ingenuo pensare che l’ex presidente della Bce possa fare miracoli.

Financial Times: sì Draghi al Colle oltre il dilemma

Questa forte premiership però finisce quando si parla di Draghi come successore di Sergio Mattarella, eventualità che ha creato «turbolenza» perché il governo cadrebbe quasi certamente. Draghi ha tutte le carte in regola per la carica ma è pur vero che il secondo anno di governo sarebbe ancora più impegnativo del primo e il motivo è presto detto: ci sono i miliardi Ue da gestire e difficilmente qualcuno lo potrebbe fare meglio di Draghi. Il peggiore scenario - continua FT - sarebbe immediate elezioni che allontanerebbero l’Italia da riforme e recovery plan, in questo caso solo un Draghi al Quirinale potrebbe tenere la barra dritta. FT torna sulla politica italiani quattro giorni dopo con una lunga analisi in cui si parla della preoccupazione di Bruxelles e dei mercati finanziari per le riforme a rischio se questa elezione del presidente della Repubblica destabilizzasse il quadro politico, e mettesse a rischio i successi di questo anno di Draghi al governo.

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Un Draghi presidente della Repubblica potrebbe distruggere il governo di unità nazionale. «Ironicamente Draghi è diventato un elemento di instabilità», riporta ancora FT tra le tante opinioni raccolte.

The Economist: un danno Draghi al Colle

Economist va contro il tentativo di Draghi di diventare presidente della Repubblica: non andrebbe bene né per l’Italia né per l’Europa. Il suo desiderio appena mascherato di lasciare Palazzo Chigi per il Quirinale «lo mette a rischio. Se verrà eletto, sarà difficile trovare un successore in grado di tenere insieme l’attuale coalizione ideologicamente eterogenea. Se non lo sarà, la sua posizione» sarà più debole. Si sottolinea che «interromperà un governo che funziona bene». Ricordando che il premier «ha presieduto quasi 12 mesi di insolita calma e unità nella politica italiana», l’articolo spiega che tra i timori ora c’è quello che l’elezione di Draghi al Colle possa portare al voto anticipato. Un’ipotesi che l’Economist giudica improbabile ricordando il rischio dei deputati di perdere i diritti alla pensione. «Uno scenario più probabile - si legge nell’articolo - è che si formi un governo che succederà a quello di Draghi e che tenterà di zoppicare oltre la scadenza prima di crollare a un certo punto non troppo lontano dalla fine naturale della legislatura, nel marzo 2023». Il pericolo però, secondo l’Economist, è che un governo post-Draghi «possa fare ben poco. Supponendo che si possa trovare un sostituto, è improbabile che lui o lei godano di qualcosa di simile al sostegno di cui Draghi attualmente gode, anche perché i partiti politici che attualmente lo sostengono vorranno iniziare a posizionarsi per le prossime elezioni», andando ciascuno nella sua direzione. «Eppure - si legge ancora - il lavoro sulle riforme è ancora lungo e, se si blocca, si può bloccare anche il flusso di fondi da Bruxelles». A meno che Sergio Mattarella non decida di rimanere fino alle prossime elezioni, è difficile che questa elezione finisca bene per l’Italia, sentenzia l’Economist.

I dubbi di Bloomberg e Les Echos

Bloomberg ricorda tutti i successi di Draghi al governo e conclude «Draghi potrebbe ritenere che il modo migliore per preservare in futuro i risultati della sua azione di governo sia diventare Presidente della Repubblica, un ruolo che dura sette anni». Per l’agenzia economica, «i presidenti italiani hanno molti più poteri di quello che sembra. Lo spread tra Bund e BTP per ora non si è mosso molto, probabilmente perché i mercati si aspettano che Draghi non lascerà la scena politica». Ma lo slancio del governo Draghi, si osserva, «potrebbe rapidamente dissiparsi se gli succedesse un primo ministro meno efficace che non ha l’influenza dell’ex capo della Banca centrale europea in patria e all’estero. Ciò potrebbe mettere a repentaglio l’accesso del Paese a oltre 200 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti disponibili dal fondo di recupero della pandemia dell’Unione europea».

Les Echos osserva che i mercati detestano l’incertezza e considerano Draghi come l’unico capace di garantire la stabilità del paese. «Avrà fatto tutto il possibile per salvare l’euro, ma non necessariamente la sua patria», scrive Les Echos sulla corsa di Draghi al Quirinale, con il titolo “L’Italia senza il suo garante”. «Glorificato per la sua azione alla guida della Bce - scrive il giornale economico francese - Mario Draghi è pronto ad abbandonare con un anno di anticipo la presidenza del Consiglio italiano per quella, più simbolica in modo diverso, del paese». «Dietro la legittima aspirazione di un uomo di 74 anni, si nasconde tuttavia un immenso rammarico, quello di vedere un capitano abbandonare la sua nave in piena operazione di salvataggio. I suoi 11 mesi trascorsi al timone hanno prodotti risultati piuttosto spettacolari, in un paese che di recente ne ha conosciuti così pochi: l’Italia è ormai uno dei paesi meglio vaccinati del mondo, mostra una ripresa economica superiore a quella della Germania e della Francia. Ma tutto porta a credere che la fiducia dei mercati non sopravviverà alla probabile uscita del suo primo ministro. Lui solo sembrava in grado di riassorbire, o almeno far dimenticare quella montagna di debito, oltre il 150% del Pil - che minaccia la penisola. L’effetto Draghi sembra già svanire: il famoso ’spread’, che da’ una buona indicazione sulla difficoltà di un paese a finanziarsi sui mercati, è tornato al suo livello di due anni fa».


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