Flavio Carboni, addio all’uomo dei segreti: a 90 anni era ancora sotto processo

di Giovanni Bianconi

Per mezzo secolo imputato, dalla mafia al delitto Calvi. Ma una sola condanna definitiva

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Al giudice che ordinò il suo ultimo arresto — nell’estate del 2010, quando aveva 78 anni, per la presunta associazione segreta ribattezzata P3 — si presentò così: «Sono Carboni Flavio, nato a Sassari il 14 gennaio 1932». Titolo di studio? «La frequenza del liceo». Diploma di scuola media superiore? «No, la frequenza. Non ho conseguito il diploma». Ha beni patrimoniali? «Non dispongo». Automobile, abitazione, niente? «No, li ho in uso, ma non sono miei...». È sottoposto ad altri procedimenti penali? «Sì». Condanne? «Sì». Era così, Flavio Carboni: sempre in bilico tra millanterie e imbrogli, più di mezza vita spesa nelle aule di giustizia da imputato. Fino alla fine. Il 14 gennaio scorso, giorno del suo novantesimo compleanno, il tribunale di Cagliari gli ha regalato un’assoluzione (con moglie e figlio) dall’accusa di associazione per delinquere e trasferimento fraudolento di valori. Neanche il tempo di festeggiare e quattro giorni dopo, il 18 gennaio, il tribunale di Arezzo l’ha condannato (insieme alla moglie) a due anni e quattro mesi di pena per riciclaggio di proventi di false fatturazioni. L’altra notte è morto.

Le condanne

Per la P3 era stato condannato nel 2018 a sei anni e mezzo, la scorsa settimana il suo avvocato Renato Borzone ne aveva chiesto l’assoluzione in Appello, dopo che il pm aveva già chiesto di dichiarare il reato prescritto: anche quella vicenda si sarebbe chiusa con un nulla di fatto per la sua fedina penale. Dove, alla fine, risulta una sola condanna definitiva a 8 anni e mezzo per il fallimento del Banco Ambrosiano, l’istituto di credito guidato da Roberto Calvi trovato impiccato sotto un ponte di Londra nel giugno 1982. È la storia ancora oscura del «banchiere di Dio» divenuto il banchiere della P2, in un intreccio di enigmi e affari illeciti che ha coinvolto pure Carboni, il quale s’è sempre dichiarato estraneo a tutto: Gelli e la sua loggia segreta, la banda della Magliana e l’attentato al vicepresidente dell’Ambrosiano Roberto Rosone, Pippo Calò e la mafia, l’omicidio Calvi e il mistero della sua borsa scomparsa e ricomparsa in un programma televisivo. E tutti i verdetti definitivi tranne uno, sia pure dopo alterne conclusioni provvisorie, gli hanno dato ragione.

Indagini e segreti

Ad ogni tappa del suo slalom tra indagini e segreti mai svelati lui s’è presentato con quell’atteggiamento tra il sorpreso e l’indignato esibito davanti al giudice della P3, al quale contestò le prove a suo carico messe insieme dai carabinieri: «Quell’Arma alla quale mi rivolgevo tutte le volte che non mi fidavo della polizia... In questo caso, probabilmente per errore, hanno raccolto dati molto diversi da quella che è la realtà». E quando il giudice ha provato a frenarlo («Lei è persona acuta, ma io non sono un ingenuo»), è sbottato: «Ma neanche io, e lei non può condannare un innocente che non ha nulla a che fare con questi mascalzoni!». Tutti lo definivano «faccendiere», ma lui s’indispettiva: «Sono un imprenditore immobiliarista», e per ogni relazione pericolosa aveva pronta una giustificazione o un muro di omertà: «Per me la Magliana era solo un quartiere di Roma, mai saputo niente della famigerata banda», ci disse in un’intervista per smentire un presunto collegamento con la scomparsa di Emanuela Orlandi. Sui rapporti con la mafia: «Pippo Calò lo conoscevo come Mario Aglialoro, a dirmi che dietro quel nome si nascondeva un boss di Palermo fu il giudice Imposimato. Con lui feci un’unica operazione, di cui s’è chiarito». Su Calvi che aveva accompagnato all’estero, prima che venisse assassinato: «Voi parlate di omicidio ma per me quello resta un suicidio al mille per mille, se mai una persona può avere dei buoni motivi per uccidersi, quel giorno Calvi li aveva tutti, purtroppo». Per i magistrati invece fu un delitto mascherato ma Carboni, processato come complice dei killer mafiosi e camorristi, è stato assolto come tutti gli altri. Quanto agli intrecci con la finanza vaticana inquinata si schermiva: «Si dà il caso che io non abbia mai incontrato monsignor Marcinkus. Altri prelati e cardinali sì, Palazzini, Oddi, Angelo Rossi e altri ancora, ma Marcinkus no». Nessun intreccio criminale, sosteneva, ma relazioni importanti sì: «Io ho solo molte buone conoscenze. Compreso Silvio Berlusconi, al quale ho venduto la villa in Sardegna. Ma saranno vent’anni che non lo vedo», ci raccontò nel 2011, al termine della carcerazione preventiva. Né poteva negare gli affari con gli amici pregiudicati dell’ex premier, Marcello Dell’Utri e Denis Verdini: «Verdini me l’ha presentato Dell’Utri che conosco dai primi anni Settanta». Tra tante intemperie legate alla storia d’Italia, era sopravvissuto a tre infarti. Il quarto gli è stato fatale.

24 gennaio 2022 (modifica il 24 gennaio 2022 | 23:04)