Le nuove regole

La svolta del Parlamento Ue per la difesa dei diritti web

Il Parlamento europeo ha approvato ieri il Digital service act, la nuova carta dei diritti digitali dei cittadini Ue

di Alessandro Galimberti

(AFP)

2' di lettura

Con una maggioranza schiacciante - 530 voti favorevoli, 78 contrari e 80 astenuti - il Parlamento europeo ha licenziato ieri il Digital service act, la nuova carta dei diritti digitali dei cittadini Ue, all’esito di un percorso e di un voto molto più snelli e veloci della soffertissima direttiva copyright del 2019.

Per diventare precettivo ed efficace il regolamento attende ora il vaglio della presidenza francese di turno del Consiglio, che rappresenta i Paesi membri e che potrà intervenire sul testo negoziandolo con i governi nazionali.

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La direttiva sul commercio elettronico

Difficilmente però il risultato finale si discosterà da quello tracciato dalla Commissione a fine 2020 e licenziato ieri dall’aula di Bruxelles con una serie di emendamenti restrittivi.

Il tema, dal punto di vista tecnico, è l’aggiornamento della direttiva sul commercio elettronico 31 del 2000, norma fondata sul principio della neutralità (cioè «non responsabilità») del fornitore dei servizi di rete: una regola di lassaiz faire pensata negli Usa agli albori di Internet per lanciare l’economia digitale ma che, con lo sviluppo successivo delle tecnologie del web - in particolare social network e piattaforme online, assenti 20 anni fa - ha permesso la crescita dei giganti digitali anche fuori dal perimetro dei principi di diritto dell’Unione.

Il controllo sui giganti di Internet

Non a caso la relatrice del testo, Christel Schaldemose, ha sottolineato in aula che «stiamo riprendendo il controllo sui giganti di Internet, condurremo una lotta fondamentale contro il far west che è diventato il mondo digitale». Posizione a cui ha fatto eco Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno, secondo cui «la mancanza di controllo sulle decisioni di una manciata di grandi piattaforme non era più tollerabile. Creeremo un sistema innovativo, con un principio semplice: tutto ciò che è vietato offline è vietato online».

La terza via Ue per il web

La terza via Ue per il web, come è stata definita, a metà tra il liberismo sfrenato degli Usa e il dirigismo del regime cinese è una proposta di regolamento che responsabilizza le big-tech, motori di ricerca compresi.

Pur ribadendo il principio della non esigibilità (divieto) del controllo automatizzato su ciò che avviene nell’ambiente digitale, il Parlamento impone agli oligopolisti della rete doveri di vigilanza molto più marcati e di intervento molto più rapidi per la rimozione dei contenuti da considerare illeciti (in base a policy comunitarie da condividere), o in violazione di diritti altrui.

Alle piattaforme di commercio elettronico verrà chiesta un’attenzione maggiore nel selezionare e individuare i partner (in sostanza i venditori), a pena di un coinvolgimento nella responsabilità sul prodotto/servizio intermediato.

Novità per i contenuti di informazione

Quanto alla manipolazione dei contenuti di informazione, oltre alla maggiore diligenza di chi intermedia (social network e motori di ricerca), il regolamento riconosce il ruolo di enti e associazioni con particolari requisiti nelle vesti di segnalatori qualificati, cioè cacciatori di fake news con licenza di “diffidare”. Il limite soglia per individuare i potenziali megafoni di fake, target della legge, sono le piattaforme che raggiungono mensilmente 45 milioni di utenti (il 10% della popolazione).

Nei lunghi “considerando” c’è poi una sezione anche per la protezione della profilazione degli utenti a fini pubblicitari. Obiettivi epocali, quelli del Parlamento Ue, che però non soddisfano ancora l’organizzazione dei consumatori europei (Beuc), secondo cui Bruxelles «non ha fatto ancora tutto il necessario».

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