Quirinale, le grandi manovre su Palazzo Chigi: la spinta per un governo stile Draghi

di Monica Guerzoni

L’idea di spostare poche pedine e mantenere una leadership tecnica. I nomi di Cartabia e Colao

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Lunedì la grande roulette del Quirinale comincerà a girare, ma leader e ministri ritengono difficile che prima di giovedì il Parlamento possa eleggere il presidente della Repubblica. Salvo miracoli della responsabilità e del buon senso ci aspetta ancora una settimana di passione, di trappole, di incontri più o meno segreti per arrivare a un’intesa. A quel «patto di legislatura» auspicato da Enrico Letta, che dovrebbe tenere assieme il nome del capo dello Stato e quello del presidente del Consiglio. Tutte le strade che portano Mario Draghi verso il Colle più alto aprono il dilemma del governo. Chi, dopo di lui?

A Palazzo Chigi la riservatezza regna sovrana e l’unica certezza che ufficiosamente filtra dalle stanze giallo oro è che il capo del governo non ha cambiato idea sull’opportunità che la maggioranza per il capo dello Stato sia «la più ampia possibile, anche più di quella attuale». Draghi è fiducioso, confida che i partiti riusciranno a non spaccarsi e a non terremotare il governo, vista l’emergenza Covid ancora in corso e le scadenze cruciali del Pnrr. Se il presidente della Repubblica sarà eletto da uno schieramento largo, che potrebbe includere anche la destra di Giorgia Meloni, vorrà dire che i leader hanno trovato un accordo perché dal trasloco di Draghi nasca un nuovo esecutivo. Un governo di continuità e di scopo per portare il Paese fuori dalla pandemia, riscuotere una cinquantina di miliardi di fondi europei e guidare il Paese alle elezioni del 2023.

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Il sogno proibito dei ministri in carica è un esecutivo «Draghi senza Draghi», il quale dal Quirinale sarebbe il garante della continuità auspicata dal Financial Times. Il quotidiano britannico prevede che le elezioni anticipate farebbero deragliare la ripresa dell’Italia e scrive che eleggere l’ex presidente della Bce sarebbe «il modo migliore per portare avanti il buon lavoro» fatto nell’ultimo anno. Il profilo che più ricorre per sostituire Draghi a Palazzo Chigi è quello tecnico di Marta Cartabia, molto stimata da Mattarella. E se per i 5 Stelle di rito contiano la Guardasigilli è un nome poco digeribile, tanti parlamentari che guardano a Di Maio la voterebbero senza arrossire.

Ieri per Draghi è stata un’altra giornata di «consultazioni». Oltre che a John Elkann e a Carlo Bonomi, a Palazzo Chigi è entrata Elisabetta Belloni: la prima donna a guidare i servizi segreti sembra però essere in corsa più come segretario generale del Quirinale, che per la successione a Draghi. Se Draghi ha in mente un erede, quello è Daniele Franco. Ma poiché il ministro dell’Economia ha espresso il desiderio di restare in via XX Settembre, il premier avrebbe sondato il gradimento dei partiti per il manager Vittorio Colao, ministro dell’Innovazione. Draghi ha visto anche Filippo Patroni Griffi, incontro che autorizza a registrare nel toto-premier anche l’ex sottosegretario, che ha da poco lasciato la presidenza del Consiglio di Stato a Franco Frattini: altra personalità che avrebbe molte carte da giocare, se non fosse poco gradita alla Lega. E c’è un altro nome da segnare con l’evidenziatore: Renato Brunetta. È il ministro più anziano, per legge gli spetta il ruolo di supplente ed è dunque l’unico con cui la crisi di governo non si aprirebbe formalmente.

Chiunque sarà il premier, un rimpasto o rimpastino sembra inevitabile. L’idea che prevale è non spostare troppe pedine perché, per dirla con una metafora di Bersani, «in politica quando tiri un filo a volte vien giù tutto il maglione». L’idea di far entrare i leader nella squadra non sembra percorribile, siamo nel finale di legislatura e presto i partiti non penseranno ad altro che alle prossime elezioni politiche. Qualche «big» però potrebbe entrare, a cominciare da Antonio Tajani. Il Pd ha un tris al maschile, Franceschini, Orlando e Guerini e Letta potrebbe battersi per una new entry donna. A pagare il prezzo del maquillage sarebbero i tecnici come Bianchi (ricevuto ieri da Draghi), Cingolani, Giovannini e Lamorgese .

Il ministero dell’Interno è un caso a sé. Matteo Salvini ci ha lasciato il cuore e molti pensano che riportarlo su quella poltrona sia il solo modo di convincere il segretario della Lega a restare al governo. Ma chi frequenta Palazzo Chigi è pronto a giurare che il leader della Lega non sarà il prossimo inquilino del Viminale in un anno di campagna elettorale. Fonti di governo ricordano come Draghi abbia portato sui temi dell’immigrazione e dell’ordine pubblico una «visione neutrale», per cui, se la Lega dovesse rivendicare l’Interno, quella casella potrebbe andare al sottosegretario Riccardo Molteni.

20 gennaio 2022 (modifica il 21 gennaio 2022 | 08:25)