Richeldi: «Con Omicron sindromi meno gravi ma serve altro tempo perché calino i decessi»

di Margherita De Bac

A colloquio con il direttore della pneumologia del Policlinico «Gemelli» di Roma: «Non cantiamo vittoria, restiamo cauti»

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È il segnale che aspettavamo e si prevedeva. È così, professor Luca Richeldi?
«Sì, è così», ribatte il direttore della pneumologia del Policlinico Gemelli. «Gli ospedali stanno lentamente rifiatando. Da una settimana l’incidenza dei ricoveri si sta riducendo e tende ad appiattirsi. L’11 gennaio scorso la variazione su base settimanale nelle terapie intensive è stata del 20% in più. Il 19 gennaio l’incremento era dell’1%. Nei reparti ordinari si è passati nello stesso periodo da un aumento del 30% a uno del 10%. È verosimilmente l’effetto della diffusione di una variante del virus che causa sindromi cliniche meno gravi».

Resta alto il numero dei morti.
«Ci aspettiamo che la serie di eventi dolorosi continui a salire ancora per un po’, purtroppo, e che poi cominci a declinare. Andamento simile a quello visto nelle prime ondate. I decessi sono l’ultimo parametro in decrescita. Stiamo perdendo i pazienti per un terzo di età superiore agli 80 anni e per un quarto tra 70 e 79 anni, prevalentemente con malattie croniche, che li rendono più vulnerabili nonostante la variante Omicron tenda ad essere meno dannosa per i polmoni».

Nel complesso gli ospedali hanno retto?
«Non cantiamo vittoria. Restiamo cauti. Il sistema ha risposto all’onda d’urto nonostante una situazione di grande stress dovuta anche ai tanti contagi fra il personale sanitario. Molti reparti e servizi hanno dovuto sospendere o ridurre le prestazioni e questo ha creato grandi problemi organizzativi».

Eliminare l’obbligo di mascherine e altre restrizioni. Paesi a noi vicini ci stanno pensando.
«Spesso i politici hanno bisogno di dare segnali non in linea con l’indicazione degli scienziati. L’abolizione dell’uso della mascherina non può non favorire la circolazione del virus. Certo è che i vaccinati con tripla dose sono protetti da forme di Covid grave. Da noi la metà circa dei cittadini si trova attualmente in questa condizione».

È l’inizio di un cammino meno accidentato?
«Sembra che il virus si stia trasformando in quello che avremmo voluto all’inizio della pandemia, quando ancora non lo conoscevamo. Speriamo diventi responsabile di infezioni simili all’influenza stagionale. Una variante meno aggressiva (come pare sia Omicron) troverà una popolazione in gran parte immune, grazie alle vaccinazioni o per l’immunità indotta dall’infezione. In più avremo test rapidi sempre più accurati e farmaci sempre più efficaci. Così il Covid potrebbe essere declassato a un’influenza».

Sulla rivista «Nature Communications» uno studio spiegherebbe come mai, a contatto con un individuo infetto, alcuni vengono contagiati altri no. Una svolta?
«È un importante studio del professor Ajit Lalvani, ora all’Imperial College di Londra, che siede sulla cattedra di Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. Lalvani ha dimostrato che chi ha avuto un raffreddore “comune” di recente e presenta nel sangue livelli elevati di linfociti T specifici, cellule della memoria immunologica, ha meno probabilità di contagiarsi con Sars-CoV-2, pur se esposto in ambito familiare. Potrebbe essere un’osservazione cruciale per approntare vaccini capaci di indurre una risposta non solo verso la proteina Spike, ma anche verso altre proteine, preparati più attivi nei confronti di tutte le varianti».

20 gennaio 2022 (modifica il 20 gennaio 2022 | 22:24)