Quando la COVID-19 diventerà endemica?

Sappiamo che diventerà una malattia simile all’influenza o al raffreddore, ma è ancora presto per capire con che tempi

(Yuichi Yamazaki/Getty Images)
(Yuichi Yamazaki/Getty Images)

La grande diffusione della variante omicron del coronavirus ha portato molti a chiedersi se quella attuale possa essere l’ultima ondata, il segno di una progressivo passaggio da una pandemia a una endemia, una fase in cui il virus continua a esistere, ma senza causare drammatiche emergenze sanitarie come quelle vissute a partire dal 2020.

Il tema è molto dibattuto e ricalca in parte argomenti già affrontati alla fine della scorsa estate, quando sembrava che la situazione si stesse normalizzando dopo l’ondata causata dalla variante delta. Il successivo arrivo della variante omicron ha confermato quanto sia difficile fare previsioni, ma può comunque essere utile farsi un’idea su che cosa significhi e quali siano le implicazioni di un’endemia.

Pandemia, epidemia, endemia
Una pandemia, la situazione in cui ci troviamo da quasi due anni, indica la rapida diffusione di una malattia in tutto il pianeta che coinvolge in breve tempo buona parte della sua popolazione.

L’alto numero di contagiati, malati e morti deriva dalla mancanza di immunizzazione nei confronti di ciò che causa la malattia (cioè un patogeno, solitamente un virus), quindi dalla mancanza di risorse nell’organismo di ciascuno per contrastare da subito ed efficacemente i suoi effetti.

Un’epidemia indica invece il diffondersi di una malattia in una specifica area geografica, con un numero di malati in eccesso rispetto a quanto ci si attenderebbe in un determinato periodo di tempo sulla base delle esperienze precedenti.

Con endemia si intende invece la costante presenza di un patogeno e/o di una malattia in una certa area geografica, che porta a nuove infezioni e casi in modo continuativo, ma stabile, con eventuali periodi in cui questi aumentano portando a fasi epidemiche.

Malattia endemica
Dopo circa due anni di pandemia, l’idea che la COVID-19 possa diventare una malattia endemica potrebbe essere vista quasi con sollievo rispetto a quanto accaduto finora. Sotto certi punti di vista sarebbe sicuramente un progresso, ma è importante non cadere in alcuni equivoci.

Una fase endemica non significa che una malattia scompaia: le persone continuano ad ammalarsi, alcune sviluppano sintomi più gravi di altre e hanno un maggior rischio di morire a causa dell’infezione. Non significa nemmeno che future infezioni causino necessariamente sintomi più lievi rispetto a quanto avvenga oggi.

Quando una malattia raggiunge uno stato endemico significa che si è stabilizzata: la quantità di casi nella popolazione interessata rimane all’incirca costante. Non ci sono abbastanza soggetti vulnerabili perché si verifichino epidemie e non ci sono abbastanza soggetti immuni per evitare che la malattia continui a diffondersi. È una circostanza in cui il numero di riproduzione è circa uguale a uno: in media una persona ne infetta un’altra.

Influenza
Possono poi esserci fasi in cui una malattia endemica causa ondate epidemiche rilevanti, come nel caso dell’influenza i cui casi aumentano sensibilmente nella stagione fredda, quando ci sono maggiori occasioni di contagio (per lo più la permanenza per lungo tempo in luoghi chiusi e poco aerati con altre persone).

L’influenza può anche portare a una pandemia, come avvenne nel 1918 e in proporzioni più contenute nel 2009 con il virus influenzale H1N1. Tra le cause della pandemia c’è il diffondersi di un nuovo virus influenzale, verso il quale le difese immunitarie acquisite naturalmente con precedenti infezioni o tramite il vaccino non sono sufficienti per contrastare il nuovo patogeno in circolazione.

Al di là delle fasi pandemiche, l’influenza è comunque la causa di migliaia di morti ogni anno, specialmente nei paesi in cui un’alta percentuale della popolazione è anziana, come in Italia. I vaccini contribuiscono a ridurre i rischi e le ondate stagionali, ma possono esserci anni nei quali sono meno efficaci (i virus influenzali in circolazione cambiano da stagione a stagione) e nei quali i virus influenzali sono più aggressivi, con picchi nella letalità della malattia. L’influenza in questo senso è un buon esempio per farsi un’idea di che cosa significhi “endemico” e quali implicazioni abbia.

COVID-19 e raffreddore
Il raffreddore è un altro esempio di malattia endemica e durante questa pandemia è stato citato spesso, perché in molti casi viene causato da alcuni tipi di coronavirus. Ci sono quindi ipotesi sul fatto che anche l’attuale virus possa via via unirsi alla squadra delle cause del raffreddore. Non ci sono però ancora certezze in merito, né si possono fare facilmente previsioni sui tempi di questo eventuale passaggio.

Il coronavirus OC43, tra quelli che oggi causano il raffreddore, iniziò a circolare tra gli esseri umani alla fine dell’Ottocento, secondo le analisi più condivise. Impiegò poi quasi un secolo prima di portare a infezioni via via meno rischiose, diventando la malattia che conosciamo oggi e che chiamiamo genericamente raffreddore (ci sono diversi altri virus che lo causano).

La variante omicron comporta sintomi più lievi rispetto ad altre varianti, specialmente tra chi ha ricevuto il richiamo del vaccino, ma è ancora molto presto per sostenere che questa circostanza indichi il passaggio della malattia verso una fase diversa e tale da preludere all’endemia. Non si può escludere che si presentino nuove varianti nei prossimi mesi, con caratteristiche diverse e che potrebbero portare a un nuovo peggioramento della pandemia in termini di malati gravi e decessi.

Eradicazione
L’esito auspicabile con alcuni patogeni è la loro eradicazione, cioè eliminarne completamente la circolazione. Da quando esistono i vaccini, due sole malattie sono state eradicate: il vaiolo negli umani e la peste bovina tra le specie bovine. Con il vaiolo, il successo è derivato dall’enorme sforzo compiuto per vaccinare la maggior parte della popolazione mondiale e dal fatto che gli esseri umani fossero l’unica specie interessata dalle due varianti del virus che causavano la malattia.

L’attuale coronavirus ha avuto probabilmente origine nei pipistrelli e si è poi trasmesso agli umani, ma le ricerche condotte in quasi due anni hanno portato all’identificazione di una decina circa di altre specie animali che possono ospitare il virus. Questo significa che il coronavirus potrà sempre trovare altre vie per continuare a diffondersi, in altre parole: non può essere eradicato.

Vaccini
Il passaggio alla fase endemica potrebbe essere accelerato vaccinando il più possibile, specialmente nelle parti del mondo dove la percentuale di persone vaccinate è ancora molto bassa.

I vaccini proteggono dalle forme gravi di COVID-19 e riducono la circolazione del coronavirus (seppure meno di quanto fosse stato auspicato all’inizio delle campagne vaccinali). In questo modo milioni di persone potrebbero sviluppare non solo gli anticorpi, che con il tempo tendono a svanire, ma anche la capacità di produrne di nuovi e specializzati nel caso di nuove infezioni, grazie alla memoria immunitaria e all’attività di alcune particolari cellule immunitarie (linfociti T).

In questo scenario si potrebbe portare la COVID-19 a essere endemica in tempi relativamente brevi, con focolai ed epidemie su scala ridotta anche in termini geografici, un po’ come avviene con altre malattie respiratorie come influenza e raffreddore. Una vaccinazione di massa su scala globale non è però semplice e appare improbabile.

L’attuale coronavirus, inoltre, tende a mutare facilmente (soprattutto perché è ovunque e infetta molte persone, con maggiori probabilità che qualcosa vada storto quando si replica nelle cellule), di conseguenza potrebbe essere necessario continuare a vaccinare periodicamente la popolazione, proprio come facciamo da tempo con l’influenza. In questo scenario, le persone più a rischio sarebbero i non vaccinati e i nuovi nati, perché privi di una protezione immunitaria.

A migliorare le cose potrebbe arrivare un vaccino ad ampio spettro contro i coronavirus in generale, rispetto a quelli utilizzati finora. Le ricerche sono ancora in corso, ma stanno comunque procedendo velocemente. Una volta somministrato alla maggior parte della popolazione, il nuovo vaccino potrebbe essere impiegato nei nuovi nati come viene già fatto con il vaccino contro il morbillo, che negli anni ha permesso di salvare milioni di vite.

Convivenza
Anche se è difficile dire quando, sappiamo che la pandemia per come la intendiamo oggi finirà, lasciandoci un mondo un po’ diverso da quello che avevamo prima. Il coronavirus continuerà a far parte delle nostre esistenze e sarà un pensiero ricorrente per la maggior parte della popolazione, specialmente per le generazioni che ne hanno vissuto gli effetti in modo più marcato.

La velocità con cui il coronavirus evolve rispetto alla nostra capacità di avere risposte immunitarie adeguate sarà un fattore determinante per capire se e con quale frequenza ci dovremo vaccinare, e se sarà necessario mettere a punto versioni aggiornate dei vaccini come si fa ogni anno per quelli influenzali.

Le varianti delta e omicron hanno mostrato chiaramente che per ora il coronavirus continua a mutare rapidamente, ma è parere diffuso tra gli esperti che ci siano buone probabilità che con il tempo la produzione di nuove varianti si riduca. La crescente quantità di persone immuni – per via naturale o tramite il vaccino – contribuirà a questo rallentamento, ma molto potrebbe dipendere da come sarà raggiunta l’immunità tra la popolazione.

Alcuni governi, come quello dell’Inghilterra, sembrano essere determinati a sfruttare la variante omicron e i suoi sintomi in media più lievi per favorire la massima diffusione possibile del coronavirus. La sua circolazione in una popolazione per lo più immunizzata grazie al vaccino o a precedenti infezioni potrebbe contribuire a stimolare una nuova risposta immunitaria, migliorando le capacità dell’organismo di affrontare il virus; potrebbe inoltre favorire l’immunizzazione di chi è ancora suscettibile perché non vaccinato o perché non ha mai subìto un’infezione.

È una scommessa non priva di rischi: sia perché potrebbe portare a un aumento dei casi gravi di COVID-19 in termini assoluti (semplicemente perché più malati ci sono più aumentano in proporzione quelli gravi) mettendo in crisi i sistemi sanitari, sia perché potrebbe non favorire l’accelerazione sperata verso la fase endemica. Più un virus è in circolazione, più ha probabilità di andare in contro a mutazioni casuali che potrebbero fare emergere nuove varianti per esempio in grado di infettare con più facilità gli immunizzati o di essere più virulento, portando a un nuovo peggioramento della pandemia.

Benché non fermino completamente l’infezione, i vaccini continuano a essere la risorsa più importante per attenuare il più possibile gli effetti della pandemia. Molti paesi poveri hanno vaccinato una minuscola frazione dei loro abitanti, perché non hanno accesso a quantità sufficienti di dosi o per altri problemi organizzativi. I programmi di aiuto per i paesi più poveri non sono ancora a pieno regime, nonostante gli impegni annunciati da oltre un anno dai paesi più ricchi e l’invito da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a intensificare gli sforzi.