Silvia Turani: «Il rugby mi ha cambiato la vita» 

La giocatrice del Colorno racconta la sua storia nelle Furie Rosse e di come questo sport sia stato fondamentale per dare una svolta alla sua esistenza che adesso ha il rugby al centro. «Ho trovato una grande rete umana, un gruppo con cui condivido gioie e dolori, questa squadra per me ha fatto la differenza» 
Rugby femminile Silvia Turani «Il Colorno mi ha cambiato la vita»

La sua prima volta sul campo è stata in Spagna, in Erasmus che è da sempre periodo di scoperte. Silvia ha scoperto il rugby che è diventato il suo sport e la sua passione, davvero la chiave di volta della sua vita. «Mi hanno invitata a fare un allenamento. Una ragazza mi ha detto che non faceva per me, poi l'anno scorso mi ha scritto per farmi i complimenti per essere arrivata in nazionale». In nazionale di rugby femminile Silvia Turani è arrivata partendo da una squadra che racconta come una famiglia, il Rugby Colorno.

«Ho iniziato a giocare al terzo anno di Università. Stavo a Parma e facevo avanti e indietro da Colorno dove poi mi sono trasferita. Abitando qui facevo vita di squadra al 100% pur studiando e lavorando a Parma. Nel periodo che ho passato in Francia vivevo nelle residenze all'interno del campo» spiega. La sua dedizione si vede anche nel racconto delle sue giornate degli ultimi mesi passati senza giocare a causa di un infortunio.

«Sveglia alle 5 e 50. Faccio il caffè per mio padre che si sveglia dopo e vado in palestra, la mia colazione è in macchina mentre vado in ufficio. Adesso sto lavorando in segreteria nell'azienda di famiglia, una situazione temporanea, mentre faccio il recupero dall'infortunio. Dall'ora di pranzo in poi vado in piscina, a correre o direttamente a Brescia a fare fisioterapia. Poi torno in ufficio o vado a casa, mangio e prima di crollare faccio qualche videochiamata con gli amici e riunioni per la squadra».

La sua volontà è raccontata in queste giornate in cui alla fine per forza si crolla. Tutto per tornare su quel campo che ha trovato tornata dall'Erasmus. «Tutti mi dicevano che c'era Colorno, ma sembrava di chiedere alla Juventus di provare a entrare nel team, io che avevo non praticamente mai giocato. Alla prima mail non mi hanno risposto. Mi sono fatta forza e ho chiamato. L'allenatore mi ha detto che sarebbero passati a prendermi a Parma. Io mi sono presentata con le scarpe da tennis e i leggings. Ancora mi prendono in giro» dice ridendo.

La cosa che l'ha fatta innamorare all'inizio è stata la varietà degli allenamenti che si fanno per il rugby sia nella preparazione fisica che nella tecnica. Dopo è arrivata la consapevolezza di avere qualità per questo sport. «Soprattutto ho trovato una grande rete umana, un gruppo con cui condivido gioie e dolori, questa squadra per me ha fatto la differenza» conclude Silvia che è arrivata alle Furie Rosse di Colorno negli anni del tecnico Cristian Prestera in cui ci la società ha voluto dare alla squadra femminile uno staff tecnico pari a quello maschile.

«Pur non essendo, purtroppo, professioniste, siamo state trattate come tali. Ci alleniamo come professioniste, già allora io facevo ogni giorno qualcosa in più». Il tutto da inserire all'interno di una vita che si deve definire normale perché queste atlete non sono professioniste: studiano o lavorano oltre a giocare e allenarsi. Sono tre allenamenti a settimana dalle 8 alle 10 di sera e se entri nel giro della Nazionale chiedi le ferie per le partite. «Non è solo una questione di stipendio, ma di mezzi e di possibilità, di diritti».

Il rugby ha già portato nella vita di Silvia tante persone, ma anche «uno stravolgimento di vita e di valori». Silvia è rimasta a Parma all'Università per restare a Colorno, ma ha anche cercato di fare un anno all'estero scegliendo la Francia dove sapeva di poter giocare a rugby. C'è poi un cambiamento ancora più personale. «Venivo dagli anni dell'adolescenza, avevo disturbi alimentari: anoressia e bulimia e dopo binge eating. Avevo un rapporto orrendo con il mio corpo, vivevo nella vergogna costante. Ho fatto tanti percorsi, ma solo quando ho cominciato anche con questo sport, la situazione è cambiata» spiega.

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Dagli allenamenti è passata alla giusta alimentazione e a una nuova rete di valori. «Per la prima volta ho parlato dei miei problemi». Senza dimenticare le esperienze internazionali: quelle di squadre all'estero, ma anche quelle con la nazionale. «L'esperienza delle Barbarians (club internazionale di rugby a 15 a inviti ndr) è stata totalmente inaspettata e ho anche dovuto tenerla segreta. Mi sono trovata con atlete viste solo come idoli su Instagram. Partivo senza sentirmi all'altezza, ma alla fine me la sono gustata».

La speranza per l'anno nuovo?  «Per me il rientro dall'infortunio. Per il rugby italiano certamente un bel mondiale. Per tutte le giocatrici che ci siano dati i mezzi per riuscire a sviluppare il più possibile le nostre potenzialità. Non basta dire che il rugby femminile cresce bisogna aiutarlo in questa crescita anche con visibilità di qualità per mostrarci come atlete credibili e diventare modelli per le ragazze che vogliono cominciare a giocare». È una risposta che non stupisce, a darla è una ragazza per cui il rugby è vita. 

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