Canone Rai, quando uscirà dalla bolletta elettrica? Le novità sull’addebito diretto
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén18 gen 2022
La Rai può essere finanziata esclusivamente dal canone. Ovviamente, se tutti i 90 euro chiesti ai cittadini ogni anno finissero nelle casse di Mamma Rai, cosa che non è: a Viale Mazzini, infatti, come sappiamo, alla fine spettano poco più di 74 euro (lo Stato infatti trattiene una percentuale sul gettito). L’ad Rai, Carlo Fuortes, in audizione in commissione Lavori Pubblici al Senato, mette sul tavolo l’ovvio: il canone televisivo, così com’è, «è una risorsa incongrua rispetto agli obblighi e alle attività che la Rai svolge ed è tenuta a svolgere come certificato anche dalla Contabilità separata». Il tema è l’indipendenza della televisione pubblica dal sistema commerciale della pubblicità. «Non c’è nessun problema a mantenere il sistema duale laddove il Parlamento decida di farlo», ha spiegato Fuortes, con la consapevolezza però che utilizzare «solo il canone oppure il canone e la pubblicità è una scelta politica». Insomma, se nelle casse della Rai arrivasse l’intero canone da 90 euro, ha chiarito Fuortes ai senatori, «molti discorsi non verrebbero fatti», perché la cifra intera «probabilmente sarebbe sufficiente a gestire quest’azienda in modo tutto diverso».
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Forte del suo risultato (un bilancio previsionale in pareggio), l’ad Rai passa la palla alla politica, che, dopo la pausa di novembre e dicembre scorsi, ha deciso da gennaio di far tornare in bolletta le 10 rate da 9 euro mensili. Insomma, per il 2022 il canone Rai è dovuto senza sconti. Le cose potrebbero invece cambiare nel 2023, nel caso l’Italia decidesse di rispettare gli impegni presi con l’Europa tramite il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), in cui nero su bianco è stato scritto che dai costi dell’energia dovranno sparire tutti gli «oneri impropri», nei quali rientra appunto anche il canone di abbonamento alla televisione, dovuto allo Stato da parte di chiunque possegga un apparecchio televisivo, e inserito in bolletta nell 2015 dal governo Renzi, per contrastare la diffusa evasione sull’imposta per la Tv pubblica.
I cambiamenti passati, la sospensione degli ultimi mesi dell’anno scorso, l’incognita del 2023, mantengono la Rai in una situazione di perenne incertezza finanziaria. Per questo Fuortes ha ribadito che la governance della tv pubblica «deve essere affiancata da un sistema che garantisca risorse certe e adeguate, così da consentire al vertice nominato con le regole che verranno scelte di concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi affidati alla concessionaria pubblica, obiettivi - ha aggiunto l’ad - che sono sicuramente economici ma prima ancora e innanzitutto editoriali, meglio ancora culturali, sociali e industriali». Chi infatti critica il canone Rai, chi firma petizioni ormai da anni per la sua cancellazione, chi condivide sui social meme in cui attacca a cadenza regolare questa “tassa impropria”, dimentica il fondamentale servizio pubblico svolto dalla Rai: dai sottotitoli, le audiodescrizioni e l’offerta in lingua dei segni per i cittadini sordi o ciechi ai programmi culturali, magari relegati purtroppo a tarda notte, che non riuscirebbero più ad andare in onda in un mercato televisivo che viva esclusivamente di successi di share e conseguenti introiti pubblicitari.
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«Il finanziamento del servizio pubblico», ha spiegato ancora Fuortes, «nell’ammontare appropriato, è quindi un prerequisito indispensabile, deve essere cioè tale da non porre la società in una condizione di “minorità”, tale da impedire di rispettare l’essenziale principio di indipendenza che costituisce la qualità che connota la costituzione dei servizi pubblici e la loro capacità di agire». Insomma, «è indubbio che il finanziamento debba essere commisurato e adeguato agli obblighi assegnati, stabile e trasparente». L’ad ha poi ricordato che nella sua relazione in Vigilanza dello scorso 12 ottobre aveva già denunciato che «rispetto agli altri broadcaster pubblici, il servizio pubblico italiano è complessivamente sottofinanziato in riferimento ai costi associati agli obblighi ad essa imposti e che rispondono all’esigenza di essere, tra l’altro, pluralista». In Croazia, ad esempio, si pagano 127 euro all’anno, in Svizzera 312 euro, in Francia 138 euro, nel Regno Unito 185 euro e in Germania 220. Noi italiani, dunque, siamo messi molto meglio, in questo senso, rispetto agli altri. Forse, dunque, dovremmo lamentarci meno per i 9o euro e pretendere, piuttosto, come in fondo chiede anche Fuortes, che la politica si assuma le responsabilità che le spettano e prenda finalmente decisioni forti per ridare orgoglio e indipendenza alla nostra tv di Stato.
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di Antonella Baccaro
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