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Politica

Tra Chigi e il Colle c'è un guado e Draghi è in mezzo

CHIGI PALACE PRESS OFFICEANSA
CHIGI PALACE PRESS OFFICEANSA 

Se l’esigenza era coprire il buco comunicativo di misure anche piuttosto forti, non spiegate al paese dopo il travagliato cdm di mercoledì scorso, è anche comprensibile che Mario Draghi abbia deciso di dedicare al tema l’intera conferenza stampa, in un giorno cruciale segnato da un problematico ritorno a scuola e dall’entrata in vigore dai divieti che colpiscono chi non ha il vaccino e il Super Green.

Lo ha fatto rivendicando la scelta “politica” di tenere aperte le scuole. Scelta difficile, complessa, che reca in sé anche dei rischi che si valuteranno nelle prossime settimane. E anche divisiva, perché oltre al folkloristico De Luca c’è un ampio fronte di governatori perplessi, l’allarme dei presidi, le preoccupazioni delle famiglie, moltiplicate dai banchi vuoti nella giornata odierna. L’intero discorso del premier ruota attorno alla strategicità dell’apertura delle scuole, in un paese dove sono state chiuse più che altrove, con importanti e devastanti conseguenze psicologiche, ferite visibili e invisibili, ma anche in termini di lavoro e “disuguaglianze sociali”. E ad un principio. E cioè che in un paese dove la campagna vaccinale è un franco successo - con quasi il 90 per cento della popolazione che ha fatto due dosi e il 40 che ha già fatto la terza – il vaccino, diciamo così, deve essere più forte del lockdown, nel senso di chiusure e “non ha senso chiudere le scuole” se poi “i ragazzi di pomeriggio fanno sport, vedono gli amici e vanno in pizzeria”.

Giusto o sbagliato, è comunque l’assunzione di una responsabilità, accompagnata dall’orgogliosa rivendicazione di una discontinuità “rispetto al passato”, su cui il premier si gioca molto, in un paese segnato da disfunzioni e carenze nelle strutture scolastiche. Ma anche di un rischio anche in termini di popolarità. Perché dire che è “necessario minimizzare gli effetti psicologici” della scelta e mettere in conto un aumento della didattica a distanza, secondo necessità, ma non per tutti, espone il premier e il governo alla severità di un giudizio inappellabile se, in concomitanza del picco annunciato, il governo fosse costretto a tornare sui suoi passi.

E è altrettanto comprensibile che, nel parlare al paese, Draghi, rivendichi che le scelte assunte in materia di vaccinazioni per gli over 50 siano state assunte in base a criteri scientifici, e non come frutto del dominio del compromesso politico sulla scienza. Spiega che si tratta delle categorie più a rischio, senza entrare troppo sul fatto che, sia perdonata la malizia, coincidono proprio con il punto di equilibrio tra chi – il Pd – voleva l’obbligo per tutti e chi – la Lega – solo per gli over sessanta. Proprio “l’ennesimo appello a vaccinarsi” e la denuncia dei “problemi che arrivano dai non vaccinati” si presta alla domanda sul perché della non estensione erga omnes da subito, quantomeno sui luoghi di lavoro, ipotesi che pure era stata sul tavolo di palazzo Chigi. Anche in questo caso, la prova nel budino sta nel mangiarlo: se cioè il terzo decreto in tre settimane è un punto di approdo, sufficiente ed efficace, o uno step propedeutico di un altro, di qui a breve.

Se, sul tema della pandemia, l’intera argomentazione, che in alcuni momenti tradisce in elegante fastidio, è tesa a dimostrare che non è vero che “Draghi non decide più” e non fa più Draghi, in materia di Quirinale Draghi non risponde, anzi decide di non rispondere. È piuttosto singolare che il premier, che nella famosa conferenza stampa di venti giorni fa, aveva lasciato intendere la sua disponibilità a candidarsi al Colle, rifiuti di pronunciarsi su una questione che il medesimo premier aveva aperto. Anche alla luce di quel che è successo in questi venti giorni. E cioè che proprio l’eventualità di un suo trasloco al Quirinale ha riacceso il gioco politico di un sistema in crisi, crisi – di sistema - che ne determinò l’arrivo a palazzo Chigi. E, con esso, il rischio di diventarne ostaggio, nella ricerca di punti di mediazione più faticosi, fino alla necessità di rincorrere gli eventi, dopo aver dichiarato pressoché conclusa la missione di questo governo.  

È chiaro che, nella scelta di non rispondere, c’è la volontà di tenere aperta la prospettiva. Ancor di più nel “non posso rispondere a questa domanda” a chi gli ha chiesto se “vuole continuare a governare questo paese”. Ecco, sarebbe stato facile tirarsi fuori, dichiarando che l’unico orizzonte cui intende dedicarsi è quello del governo, a maggior ragione dopo che Silvio Berlusconi l’ha messa giù piuttosto dura: “Se Draghi va al Colle, si vota”. Insomma, salta tutto, il che non è rassicurante in relazione all’emergenza descritta. Il famoso tema della stabilità da garantire nel caso che Draghi andasse al Colle. Evidentemente il premier non è pronto per un discorso di questo tipo, anche se, rispetto alla scorsa volta, ha parlato delle sfide che “abbiamo di fronte quest’anno”, lasciando intendere che non è esclusa la sua permanenza alla guida del governo e della “voglia di proseguire assieme”, in relazione alle diversità, quelle sì, abilmente minimizzate, tra le componenti della maggioranza. L’immagine che consegna tutto questo discorso è quella di un guado, in cui avanti è difficile andare, indietro non può e non vuole tornare. E il fiume, tutt’attorno, è già impazzito. 

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