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Gli interventi della Corte costituzionale spronano il legislatore a efficienza ed equità

di Enrico De Mita

La Corte costituzionale, nella sua recente giurisprudenza, ha inaugurato una sorta di dialogo diretto con il legislatore. È esplicita la forte legittimazione che, in tal modo, si vuole riattribuire al consapevole esercizio del potere legislativo.

Il diritto è il fondamentale strumento di inveramento della conoscenza nella libertà. Restituire il legislatore alla sua funzione significa potenziare l’efficienza della struttura amministrativa e tutelare adeguatamente l’interesse dello Stato, rimuovendo gli ostacoli anzitutto all’articolo 3 della Costituzione. L’intento dichiarato è correggere e anticipare l’eliminazione di effetti concreti di distorsione fiscale (262/2020). Si tratta di acquisire una visione positiva della funzione della Corte. È certo che il legislatore, con la sua discrezionalità, non può violare i vincoli imposti dalle finalità intrinseche del prelievo. Come pure la Corte deve limitare al massimo la funzione suppletiva.

Ho recentemente commentato l’evoluzione normativa dell’Imu. Essa rappresenta un microcosmo di singolare asistematicità e frammentarietà. Ci siamo a più riprese occupati del cosiddetto aggio esattoriale, finché la Corte (120/2021) ha promosso i contenuti del giudice remittente per fondare un’indifferibile riforma. Lì si trattava di superare il concreto rischio di una misura sproporzionata dell’aggio così come di superare la grave inefficienza della riscossione coattiva, essenziale nella dinamica del prelievo.

In rilievo tornano i principi di solidarietà, uguaglianza, efficienza e buon andamento: non saper incassare determina una grave compromissione, in particolare, del dovere tributario, che è preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali (51/19). L’inammissibilità di una questione è divenuta, in quel caso, vettore di un ancor più forte impulso al legislatore e, nel contempo, di tracciamento di un perimetro dell’azione rispettoso dei principi costituzionali e della discrezionalità del legislatore.Se la Corte dichiara come enorme il numero dei ruoli non riscossi, imponenti le cifre della massa del non riscosso, risulta evidente l’incidenza diretta nell’attuazione del principio di capacità contributiva della riscossione.

Anche in materia di imposta di registro e di trattamento dei crediti non spettanti (o inesistenti) da ricerca e sviluppo si è sottolineato che i giudici non possono svolgere una supplenza impropria del legislatore né i contribuenti possono permettersi l’incertezza normativa e interpretativa, costo indebito che pregiudica la produttività. Alla razionalità e alla certezza della tassazione sono proprio legati due punti fondamentali del sistema fiscale: la funzione redistributrice dei tributi e l’esigenza di certezza dell’operatore economico di fronte al fisco.

Il nostro sistema tributario non è per niente razionale e la certezza del diritto viene perseguita con strumenti giuridici inadeguati. La riflessione sui rapporti tra diritto tributario e diritto costituzionale convince sempre più che le garanzie costituzionali fondano le basi della razionalità di questa branca del diritto. Nel diritto tributario, il rapporto tra autorità e libertà si presenta più problematico e conflittuale. Risulta perciò fondamentale importare la razionalità costituzionale nel diritto tributario.

I continui richiami della Corte, lungo tutto il 2020 e il 2021, all’intervento diretto e immediato del legislatore sono la risposta del diritto vivente costituzionale a questa esigenza. La Corte dimostra di voler accelerare la definizione degli istituti fondamentali del diritto, superando la lentezza, ormai storica, con la quale legislatore e giudici trattano i temi dell’ordinamento a prescindere dagli scopi fondamentali di esso.

L’attuazione di un sistema tributario razionalmente fondato richiede l’approfondimento del sistema fiscale come ordinamento avente finalità costituzionalmente garantite.

I richiami al legislatore da parte della Corte, non possono farci dimenticare le prevalenti difficoltà di ordine politico. Da queste dipende il fiscalismo che fa distorcere regole e istituti giuridici, visti sempre e soltanto dal punto di vista del gettito.

Le irrazionalità del nostro sistema tributario non necessitano di nuovi racconti. Vorrei auspicare che non necessitino neppure di nuove occasioni per manifestarsi in norme.

Il riferimento ai principi costituzionali nella produzione e lettura delle norme tributarie può ricevere sbocchi importantissimi dal punto di vista della razionalizzazione del sistema. In primo luogo, fornisce indicazioni utili al legislatore, rimesso al centro della funzione impositiva anche dai recenti indirizzi della Consulta. In secondo luogo, le norme costituzionali sono anche principi interpretativi: fondano l’interpretazione razionale della legge tributaria, ossia quella più coerente agli scopi costituzionalmente garantiti. Infine, la patologia del fiscalismo trova nella declaratoria di incostituzionalità la rimozione dei mostri.

La rimozione però è puntuale, nasce da una lesione, arriva tardi e insegna poco. Il fiscalismo è sempre pronto a rinascere, con quella sua attitudine proteiforme a dissimularsi in espressioni, solo temporalmente nuove, ma storicamente radicate nella mancata relazione del legislatore con i principi costituzionali, sia sotto il profilo del fondamento che della coerenza interna delle norme impositive.

Sembra che il legislatore, ora, si sia dato dei termini per intervenire. L’esecuzione delle ripetute “deleghe” a legiferare, provenienti dalla Consulta, richiede risposte concrete e in tempo reale. Del resto è nel tempo reale che vivono i contribuenti e si attuano il la funzione impositiva e, con essa, il regolare funzionamento dei servizi pubblici. La Costituzione è quanto di più lontano possa immaginarsi dalle abilità ingegneristiche ed effimere dei social media manager consulenti politici. Ed è quanto di più vicino possa immaginarsi all’interesse fiscale e alla tutela del contribuente.