ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùAlle 18 la conferenza stampa

Draghi difende le misure e prova a blindare i partiti

Il premier spiegherà ai cittadini le misure prese, ma non risponderà a domande sul Quirinale

di Emilia Patta

(ANSA)

3' di lettura

La decisione di tenere una conferenza stampa nei prossimi giorni, magari in coincidenza con il Consiglio dei ministri di giovedì che darà il via libera al nuovo decreto ristori, era già maturata a Palazzo Chigi all’indomani del varo delle nuove importanti norme anti Covid che hanno introdotto l’obbligo vaccinale per gli ultra cinquantenni. Ma nelle ultime ore, anche per via della reazione negativa di una parte dei media su alcuni punti come ad esempio la sanzione di 100 euro per chi non ottempera all’obbligo, è maturata la decisione di anticipare l’incontro con la stampa a lunedì, giorno della riapertura delle scuole e di molte attività.

L’appuntamento è fissato per le 18, in modo da poter avere già un primo quadro di come sarà andato il rientro in ore in cui i contagi continuano a salire (ieri la notizia che sono saliti a tre i ministri contagiati: Vittorio Colao, Luigi Di Maio e Federico D’Incà, gli ultimi due anche grandi elettori per il Quirinale). All’incontro ci saranno oltre a Draghi i ministri dell’Istruzione Bianchi, della Salute Speranza e il coordinatore del Cts Locatelli.

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Ma il premier, che resta il candidato più autorevole a succedere a Sergio Mattarella nonostante i timori dei partiti sui riflessi che un suo trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale avrebbe sulla prosecuzione del governo, non risponderà alle domande sull’argomento: la conferenza stampa è unicamente concepita come occasione per spiegare all’opinione pubblica, confusa dai tanti decreti susseguitisi nelle ultime settimane, il senso del nuovo pacchetto di misure. Mettendoci appunto la faccia.

È proprio sulla riapertura delle scuole in presenza, d’altra parte, che si è consumato uno degli scontri più forti nel Cdm del 5 gennaio scorso. Con i ministri dem, il responsabile della Salute Speranza e quasi tutti i governatori (ad eccezione di Massimiliano Fedriga e Giovanni Toti) schierati contro la riapertura post festiva o molto perplessi.

Ma Draghi rivendica di aver tenuto la barra dritta su un tema che gli sta particolarmente a cuore, decidendo anche di impugnare l’ordinanza nel frattempo intervenuta del governatore dem della Campania Vincenzo De Luca: «Non possiamo tenere i ristoranti aperti e chiudere le scuole», è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi. Saranno poi i contagi classe per classe a determinare il ricorso alla Dad, dove servirà.

Sul fronte dell’obbligo vaccinale per gli over 50, che indica anche la strada all’Europa come già avvenuto con il green pass, Draghi si è invece trovato a fronteggiare l’opposizione della Lega resa plasticamente dall’assenza del capodelegazione Giancarlo Giorgetti, pure molto vicino al premier. E anche su questo aspetto si è ha mantenuto il punto. Quanto alla presunta lievità della multa di 100 euro per gli over 50 che non ottemperano all’obbligo, a Palazzo Chigi si fa notare che la sanzione si somma alle altre (fino a 1.500 euro) in vigore per chi non è in regola con il green pass, e che comunque riguarderà non solo chi non si è mai vaccinato ma anche chi ha completato il primo ciclo e non ha ancora fatto la terza dose.

Se sull’argomento Quirinale quello che Draghi aveva da dire lo ha detto con chiarezza il 22 dicembre scorso nella conferenza stampa di fine anno («sono un uomo, anzi un nonno, al servizio delle istituzioni»), i partiti si attendono comunque qualche segnale sul fronte del governo. In attesa di Matteo Salvini - che pur sentendo informalmente tutti i leader resta al momento legato alla candidatura, irricevibile per Pd e M5s, di Silvio Berlusconi - è il campo giallorosso a serrare intanto le fila: domani Giuseppe Conte vedrà gli eletti penstastellati, poi ci sarà un incontro tra Conte, il leader di Leu Speranza e il segretario del Pd Enrico Letta, giovedì infine l’attesa riunione congiunta di segreteria e gruppi parlamentari dem.

La linea resta quella di larga maggioranza per il Quirinale e patto tra i leader sulla prosecuzione del governo: senza la Lega, insomma, non si procede, va evitata una crisi al buio. Anche perché Letta non crede alla possibilità di una maggioranza Ursula M5s-Pd-Fi-Iv pure evocata dalla sinistra del partito: se Salvini esce dalla maggioranza - è il convincimento del segretario - lo farà anche Forza Italia, a parte forse qualche singola presa di posizione di minitri (Renato Brunetta e Mara Carfagna). E in un governo raccogliticcio, senza più Lega e Fi e con il solo obiettivo di portare a termine la legislatura, Letta non ci starà: «Abbiamo già dato».

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