“Cara Mara, ti scrivo…aiutami in qualunque modo”. Ci ha messo meno di un mese l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli a ritornare in carcere dopo che il Riesame di Reggio Calabria aveva alleggerito la misura cautelare disponendo nei suoi confronti i domiciliari nell’ambito dell’inchiesta “Mala pigna”.

A dire il vero le prescrizioni dei giudici, l’avvocato Pittelli le aveva violate prima di essere arrestato il 19 ottobre 2021 dalla Procura reggina. Lo ha fatto l’8 ottobre quando era imputato “solo” per concorso esterno con la ‘ndrangheta nel processo “Rinascita-Scott e ha avuto l’idea di spedire una lettera alla ministra per il Sud Mara Carfagna. La missiva è stata intercettata dall’Ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi che l’ha trasmessa alla questura di Catanzaro.

Pittelli sapeva che, essendo ristretto ai domiciliari, non poteva avere alcuna comunicazione se non con i familiari conviventi. Lo ha addirittura scritto nell’incipit della lettera al ministro: “Non potrei avere rapporti di corrispondenza con nessuno – si legge – ma ti prego di credere che sono ormai disperato”.

Una decina di anni fa, Pittelli e Carfagna erano nello stesso partito. Per questo motivo l’ex senatore si rivolge a lei dandole “tu” e definendosi detenuto “in ragione di accuse folli formulate dalla Procura di Gratteri ed asseverate dalla giurisdizione asservita”.

Le ha quindi spiegato le ragioni per le quali è imputato: “L’accusa di concorso esterno rimasta in piedi nei miei confronti – scrive Pittelli – consisterebbe nell’avere rivelato ad esponenti della cosca di ‘ndrangheta denominata Mancuso il contenuto dei verbali secretati delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella”.

Una sintesi estrema delle accuse mosse dai pm di Catanzaro. Ma l’ex senatore di Forza Italia va anche oltre e, nella lettera alla Carfagna, accusa la Direzione distrettuale antimafia, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, quasi di avere ordito un complotto contro di lui: “Vi è in atti – scrive infatti – la prova della manipolazione di un’altra captazione ambientale”.

E ancora: “Non ti nascondo nulla, ti rappresento la verità dei fatti. Stiamo preparando una nuova istanza nel merito ed un’interrogazione parlamentare che Vittorio Sgarbi proporrà quale primo firmatario. Piero Sansonetti che non mi ha mai abbandonato, conosce tutti gli atti ed i particolari dell’inchiesta a mio carico”.

Ed è a questo punto che l’ex senatore imputato per concorso esterno con la ‘ndrangheta avanza la sua richiesta a una ministra della Repubblica: “Ti chiedo di non abbandonarmi perché sono un innocente finito nelle grinfie di folli per ragioni che ti rivelerò alla prima occasione. Aiutami in qualunque modo, io vivo da due anni in stato di detenzione, finito professionalmente, umanamente e finanziariamente… Grazie per quanto potrai fare”.

Nell’ultima frase della lettera, Pittelli rivolge un invito alla Carfagna: “Per eventuali comunicazioni ti lascio il recapito di mia moglie…. Le tue telefonate come ben sai sono tutelate ex articolo 68 anche se… talvolta qualcuno se ne dimentica di proposito”. Il riferimento è, ovviamente, alle garanzie riconosciute dalla Costituzione che mettono al riparo i parlamentari dalle intercettazioni dell’autorità giudiziaria.

Poche righe che, al netto delle offese ai magistrati definiti “folli”, hanno il sapore di un messaggio che Pittelli ha voluto inviare alla Carfagna o, tramite la ministra, a qualcuno “che se ne dimentica di proposito”.

Non è dato sapere, inoltre, quali sarebbero le ragioni che lo hanno portato in carcere e che lui le vorrebbe rivelare “alla prima occasione”. E non è chiaro nemmeno come un esponente di Forza Italia e di governo possa aiutare un imputato per mafia.

Un sospetto il Tribunale di Vibo Valentia ce l’ha. Motivando la decisione di rispedirlo in carcere (perché “ha consapevolmente trasgredito alle prescrizioni impostegli con il provvedimento di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari”), infatti, il giudice Brigida Cavasin scrive che “Pittelli manifesta la volontà di instaurare contatti, con la precipua finalità di incidere sul regolare svolgimento del processo”.

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