La Russia ha vinto, salvando l’albo d’oro, ma questa Davis riformata e sformata - la Rakuten Cup come la chiamano dal nome del suo sponsor giapponese - lascia molto amaro in bocca. Il formato misto a gironi e tabellone, la collocazione a fine anno e a meno di un mese dalla sua copia carbone organizzata in Australia - la Atp Cup - gli incontri al meglio dei tre set, con tre singolari e un doppio, ce le avevano spacciate come soluzioni alla carestia di campioni che aveva afflitto la Vecchia Davis negli ultimi anni. Ma sono servite a poco.

La Russia ha vinto perché è la vera superpotenza del tennis, che quest’anno si era già presa la Atp Cup, a gennaio in finale sull’Italia, e la Billie Jean Cup, la Davis al femminile (ex Fed Cup: ma che bisogno c’era di cambiarle nome…), e vincerebbe anche i tornei degli asili delle case di riposo, con qualsiasi formula e qualsiasi punteggio. Ma i veri eroi di quest’anno sono stati il secondo singolarista della Croazia, Borna Gojo (n.279 del mondo, tre vittorie e una sola sconfitta in finale contro il numero 5 del mondo Andrey Rublev) il doppio della Germania Krawietz-Puez e quello della Croazia Pavic-Metkic, i fratelli Ymer che hanno trascinato ai quarti una Svezia scarsissima o l’anzianotto (33 anni) Mikahil Kukushkin, anima e core del Kazakistan. Nomi che al grande pubblico dicono poco o niente, e difficilmente faranno salire ascolti e popolarità. Di match belli (facciamo decenti, va’) se ne sono anche visti, gli entusiasti si consolano lodando l’impegno dei protagonisti: ma con un milione e 800 mila dollari in palio per la squadra vincente - contro i faticati “gettoni” della vecchia versione - chi non si impegnerebbe?

L’atmosfera di una gara che ha 121 anni di storia sta evaporando fra formule fumose, classifiche avulse, e match in sede unica che tolgono a tanti paesi, marginali nel circuito mondiale, l’occasione di vedere la propria squadra (e magari qualche fuoriclasse) dal vivo. Una straordinaria occasione di propaganda mandata al compostaggio, su cui l’Itf dell’ineffabile Mr Haggerty dovrebbe riflettere.

Dall’anno prossimo, a quanto pare, le Finals emigreranno ad Abu Dhabi, stregate, come tutto lo sport business moderno, calcio e Formula 1 compresi, dai petrodollari degli emiri. Il Kosmos Group di Gerard Piquè così forse eviterà l’ennesimo ‘bagno’ economico. Ma del vecchio argento fatto fondere nel 1900 a Filadelfia da Dwight Davis rimarrà solo quello: un pugno di dollari.

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