La dea Demetra e la sacralità della natura: perché per gli antichi l’ambiente era la loro casa

L’ottava puntata de «I nostri miti», una serie di lezioni sui miti della cultura occidentale per riflettere sul passato e sul presente. Erisíttone aveva abbattuto senza alcun rispetto gli alberi di un bosco sacro a Demetra: la reazione della dea e il senso degli antichi per la natura

Cristina Dell'Acqua / CorriereTv

Facciamo spesso l’errore di credere che l’ambiente sia al nostro servizio, ma è vero il contrario. Ambiente ed ecologia sono parole moderne, ambiente viene dal verbo latino ambire, che vuol dire andare intorno, ed è un nome che indica lo spazio che ci circonda e nel quale ci muoviamo e viviamo insieme agli altri. è un calco costruito sul greco e (come economia) contiene la parola oikia, la casa, l’ambiente in cui viviamo e che dobbiamo proteggere. I Greci non conoscevano questi due vocaboli, ne avevano però altri che testimoniano la loro sensibilità sul tema. Penso alla parola metriotes, moderazione: secondo Ippocrate, il padre della medicina, tutto ciò che è moderato ci regala le condizioni di vita ottimali dall’alimentazione al clima. Penso all’ubris, la tracotanza, l’arroganza con cui a volte l’uomo pensa di non avere confini se non se stesso e il proprio desiderio di potere.
Penso a un mito, come quello raccontato da Callimaco, un poeta greco del IV sec a. C.
Un giorno Erisíttone aveva abbattuto senza alcun rispetto gli alberi di un bosco sacro a Demetra, la dea che fa crescere il grano, offre agli uomini il cibo e alterna le stagioni in modo equilibrato. La sofferenza di Demetra è un dolore cosmico, universale, che stravolge la terra e la rende infelice, che vuol dire sterile. Nella mentalità degli antichi esistono zone protette, luoghi in cui sembra manifestarsi la presenza di una potenza superiore.
E con un’ascia colpì uno splendido pioppo alto sino al cielo, il grido di dolore della pianta arrivò sino alla dea Demetra che si infuriò. Non servì a nulla cercare di fermare il giovane Erisíttone, colto da senso di onnipotenza: voleva legna con cui costruire una casa dentro la quale offrire banchetti abbondanti ai suoi amici. Su di lui si abbatté Nemesi, la dea della vendetta che non dimenticherà la mancanza di senso del limite del giovane.
Dante porrà Erisíttone nel XXIII del Purgatorio, ma la punizione a cui il giovane andò incontro ha più il sapore del contrappasso infernale: non essendosi preoccupato di rispettare una risorsa sacra e preziosa come quella di un bosco, dovrà patire in eterno una fame impossibile da placare. Fu così che Erisíttone, bulimico, più mangiava più aveva fame, divorava tutto quello che gli capitava davanti agli occhi e un giorno mangiò anche il gatto di casa. E continuò sino a mandare la sua casa in rovina.
Una sacralità della natura che dovremmo ricordare, come dobbiamo ricordare il ruolo fondamentale che abbiamo nell’impatto con l’ambiente. Curioso che ambiente e ambizione derivino dallo stesso verbo latino ambire che nel senso più positivo del termine è un desiderio legittimo di migliorarsi. E uno dei nostri desideri più forti, sin da giovani, è la casa, il nostro posto in cui stare bene nel mondo, un posto da proteggere, l’ambiente nel quale cresciamo ogni giorno e facciamo crescere i nostri figli. In fondo scriviamo ambiente ma leggiamo casa.

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