Hellbound è il nuovo Squid Game?
La Corea del Sud continua a conquistare Netflix (o viceversa). Dopo il fenomeno Squid Game è appena sbarcato sulla piattaforma un altro horror, distopico e apocalittico: si chiama Hellbound e mira a spodestare il regno incontrastato della serie connazionale: è già in cima alle classifiche di ascolti dichiarati da Netflix: 781 milioni di ore viste in soli cinque giorni. Che si debbano necessariamente contrapporre o confrontare? Non sembra l’approccio migliore perché possono entrambe coesistere continuando il file rouge narrativo di una nazione sempre più desiderosa di esorcizzare le proprie paure mettendole in scena.
Mentre in Europa si canta Bella ciao in attesa degli ultimi episodi de La casa di carta (dal 3 dicembre disponibili in tutto il mondo), un heist drama un po’ soap, dall’altra parte del globo la ribellione al sistema non fa sconti né indora la pillola con parentesi romantiche. Sia Hellbound che Squid Game propongono il lato oscuro dell’umanità e della tecnologia, del potere e delle sue conseguenze.
Hellbound, infatti, immagina un modo inquietante popolato da mostri dalle fattezze di roccia ma dalla presenza quasi impalpabile, che arrivano dall’Inferno per eseguire una profezia conducendo gli uomini nell’oltretomba quando arriva la sua ora. Lo fanno in maniera brutale e plateale, sbriciolando palazzi e sfasciando autostrade ma ad un certo punto questo spettacolo raccapricciante diventa così ordinario da scatenare il voyeurismo del pubblico, desideroso di assistervi in diretta. Ecco, allora, che si capitalizza sul dolore e la sofferenza altrui, proprio come succede in Squid Game.
Questo gioco del calamaro, così competitivo e agguerrito nell’infanzia, traslato nel mondo degli adulti è un’Arena spietata come quella degli Hunger Games dove i disperati della terra lottano per sopravvivere. Per la precisione, ci sono 456 concorrenti, scelti tra coloro che la vita ha messo spalle al muro, pieni di debiti e incapaci di trovare una qualche forma di salvezza. Sono loro, gli ultimi, a tentare di salvare la pelle sperando di essere l’unico vincitore di un montepremi da capogiro. Il tempo è limitato: ci sono sei sfide per ciascuno dei sei giorni e chi sbaglia muore. Chi avrebbe mai pensato che Un, due, tre stella sarebbe stato letale? Lo è se a contare si trova una bambola gigante con sensori di movimento che fa sparare a chiunque non si trovi immobile quando volta la testa.
In entrambe le serie le atmosfere si fanno così claustrofobiche da ricordare Snowpiercer, ma con una differenza: in Squid Game contrastano con colori vivaci, scale color pastello e giardini fioriti in un’isola paradisiaca. In Hellbound la connotazione religiosa ricopre un ruolo importante e corrosivo al tempo stesso perché un gruppo in particolare, La nuova verità, spinge a trovare un senso negli eventi manipolandoli.
La critica sociale resta feroce e a volte disperata in tutte e due le serie: sembra non ci sia scampo per gli invisibili, i reietti, i paria del mondo. Come se una selezione naturale fosse implacabilmente in atto, queste gigantesche metafore di quanto sta realmente accadendo nel mondo porta subito lo spettatore ad attuare un distacco emotivo dalla crudeltà a cui assiste. E in questo modo è come se si preservasse da guardare in faccia il proprio destino. In fondo, in fondo sa che il pianeta si sta ribellando, che il marciume sta venendo a galla e che la finestra per la salvezza si chiude sempre più rapidamente.
Ecco perché un binge-watching di Squid Game e Hellbound sembra quasi imperativo: queste storie attraggono come calamite come fossero specchi deformati di una realtà che ci rifiutiamo di guardare. Attraverso un’iconografia potente – un po’ come quella di The Handmaid’s tale – questi due progetti riescono davvero a rappresentare con onore lo storytelling sudcoreano regalandogli un posto d’onore, soprattutto considerando la presenza sulla piattaforma in lingua originale con i sottotitoli, operazione rischiosa ma finora vincente.
Nonostante i molteplici punti di contatto, resta difficile e anche ingiusto fare un paragone, ma dovendo puntare su una delle due storie ora avrebbe la meglio Squid Game, per l’originalità e la totale assenza di filtri e censure. Rispetto a Hellbound, che in alcuni tratti risulta qualcosa di già visto e raccontato, il gioco del calamaro esercita un fascino maggiore, un’attrazione quasi sadica nell’osservazione delle miserie altrui. Che, si sa, sono sempre anche le nostre.