Lavoro

Accertamento della condotta antisindacale, i recenti casi di Firenze e Monza

Nota a Tribunale Monza, Sezione L Civile, Decreto 8 ottobre 20211

di Francesco Rotondi*

Il commento al decreto in oggetto è molto semplice se paragonato a quello di Firenze riferito alla nota vicenda dei licenzimanti alla G.: esattamente l'opposto.

Breve premessa. Come sempre accade per poter comprendere fino in fondo una vicenda processuale occorre partire dai fatti che hanno condotto alla domanda come in questo caso di accertamento dell'antisindacalità della condotta. Anche in quest'ottica la vicenda non pare discostarsi poi troppo da quella più nota alla cronaca riguardante i lavoratori di Campi di Bisenzio.

In questo caso, così come in quello deciso dal Tribunale di Firenze sulla vicenda G., siamo in presenza di una pretesa condotta antisindacale che matura a seguito della decisione aziendale della G.R srl di procedere alla chiusura dello stabilimento, in particolare quello di Ceriano Laghetto, ampiamente raccontata sui media.

Con riferimento alle contestazioni mosse alla società, non può non essere evidenziata l'affinità fra le due vicende. In entrambi i casi, infatti, si richiama la violazione dell'articolo 9 del CCNL Industria Metalmeccamica e - seppur in un'accezione diversa - si contesta la legittimità della scelta di aver posto in ferie i lavoratori nel corso della procedura di cui alla Legge 223/91.

Il Giudice di Monza però, dopo aver richiamato un precedente in termini del medesimo Tribunale, sembra maturare la propria decisione con argomentazioni tecnico – giuridiche che appaiono decisamente più convincenti, aderenti ai principi giurisprudenziali della Cassazione oramai consolidati.

In primo luogo, si richiama il principio dell'"effettività" della condotta pretestuosamente antisindacale: vi deve essere l'effettiva limitazione dell'attività sindacale e le condotte datoriali devono essere "oggettivamente lesive ", non riferibili ad "interessi soggettivi dei singoli lavoratori sia quelli localistici".

In secondo luogo, offre una chiara e limpida interpretazione della procedura ex art. 4 e 24 della L 223/91 (in tema di licenziamenti collettivi).: "la procedura ha essenzialmente la finalità di consentire all'interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sul programma di riduzione di personale; e poi"in linea generale, l'art. 4 della legge 223/1991 contribuisce a profilare un preciso iter procedurale a garanzia del contradditorio con le associazioni sindacali, preventivo rispetto alla effettiva riduzione del personale, e della trasparenza delle scelte imprenditoriali che, nell'ambito di contesti produttivi di non piccole dimensioni (più di quindici dipendenti), incidano sensibilmente sui livelli occupazionali (almeno cinque dipendenti in centoventi giorni, nell'ambito di ciascuna unità produttiva o di più unità produttive site nella stessa provincia). A tale scopo, la legge citata pone a carico del datore di lavoro una nutrita congerie di obblighi di comunicazione finalizzati a favorire la trasparenza dell'espletamento della procedura e, dunque, la fattiva partecipazione ad essa delle parti sociali, al fine di individuare eventuali misure alternative al recesso e conservative dei livelli occupazionali o, laddove non concretamente praticabili, criteri di scelta del personale in esubero concordati, o quantomeno condivisi".

Così opinando, il Giudice giunge all'ovvia conclusione che "a tale stregua, dunque, il confronto tra il datore di lavoro e associazioni sindacali in occasione di significative contrazioni occupazionali è specificamente disciplinato e tutelato dalla legge 223/1991 , (a cominciare dalla comunicazione di avvio); solo la relativa violazione, quindi, può inficiare la legittimità dell'intera procedura"

Ribadisco che non vi è nulla di nuovo, i principi sono quelli ormai consolidati dalla giurisprudenza anche di Cassazione. Nel caso di specie vi è inoltre una similitudine con la nota vicenda di G., ovvero, la pretesa violazione dell'art. 9 del CCNL dei Metalmeccanici.

Ma anche qui il Giudice applica il rigore logico giuridico ed argomenta in modo differente dal Collega di Firenze.

Anche in questa occasione le argomentazioni poste a fondamento del rigetto della domanda sindacale sono decisamente più ancorate al diritto ed al dato normativo: «ad ogni modo, la citata norma contrattuale prevede che "Le Parti si danno atto che le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223, dalla Legge 29 dicembre 1990, n. 428 nonché dal D.P.R. n. 218 del 2000, assorbono e sostituiscono le procedure di informazione e consultazione in materia».

Com'è agevole verificare laddove

(i) il Giudice ha seguito la chiara disposizione di legge e di contratto
(ii) ha verificato la reale sussistenza di condotta limitativa della libertà sindacale, ha dovuto necessariamente giudicare legittima la condotta datoriale.

Diversamente, come nel caso di Firenze, il Giudice avrebbe dovuto mettere in discussione tutti questi principi pacifici in giurisprudenza e, cosa ancor più non agevole, superare un chiaro dettato normativo (quello dell'art. 9 CCNL Metalmeccanici) nella parte che recita: "ad ogni modo, la citata norma contrattuale prevede che "Le Parti si danno atto che le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223, dalla Legge 29 dicembre 1990, n. 428 nonché dal D.P.R. n. 218 del 2000, assorbono e sostituiscono le procedure di informazione e consultazione in materia", giungendo all'affermazione di diritti di informazione e consultivi che non trovano alcun fondamento giuridico.

*A cura di Francesco Rotondi, Founding e Managing Partner di LabLaw Studio Legale Rotondi & Partners

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