Chi finanzia la Verità di Trump

Chi finanzia la Verità di Trump
(afp)
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Come in una avvincente serie tv Donald Trump si prepara a tornare in campo. Un comunicato ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo social network che si chiamerà Truth, Verità, che detto da uno che ha trascorso i quattro anni alla Casa Bianca sparandone di ogni colore, sembra una beffa ma non lo è. Con questa mossa non solo Trump lascia immaginare una sua ricandidatura per le presidenziali del 2024, ma intanto prova ad occupare una parte importante del campo di gioco: quello dove stanno gli avversari sempre più numerosi di Big Tech, ovvero delle grandi aziende di Silicon Valley, segnatamente Facebook e Twitter che lo hanno espulso dopo il famigerato assalto al Congresso americano di un gruppo di suoi sostenitori il 6 gennaio scorso (ma dove ancora diversi esponenti talebani possono comunicare, lamenta Trump). 

Il lancio di un nuovo social network da parte dell’ex presidente appare stravagante ma non va sottovalutato. Trump nella sua lunga carriera imprenditoriale non è nuovo ad annunci roboanti che dietro avevano meno sostanza di quel che promettevano, ma in questo caso va detto che Trump parte con una mossa finanziaria che secondo alcuni osservatori che gli consente di spendere subito circa 300 milioni di dollari per costruire Truth. 

Infatti la società che c’è dietro, la Trump Media and Technology Group, si è contestualmente fusa con un'altra società, la Digital World Acquisition, un veicolo creato apposta per raccogliere soldi degli investitori in Borsa in attesa dell’occasione giusta. Si chiamano SPAC queste società che sono come un assegno in bianco, in attesa di beneficiario. Di fatto è una pratica in uso da poco più di un anno. La Digital World Acquisition è stata fondata a Miami un mese dopo l’uscita di Trump dalla Casa Bianca; la società ha avviato le pratiche per quotarsi in Borsa, a Wall Street, la scorsa primavera e ha venduto alcune azioni un mese fa raccogliendo 283 milioni di dollari ai quali ne vanno aggiunti 11 ottenuti da investitori privati. Si arriva a così a 294 milioni di dollari nelle casse di una società in attesa di un progetto su cui investire. Come è possibile? Secondo il New York Times, che ha analizzato la cosa in ogni dettaglio pubblico, dietro la Digital World ci sono alcuni pezzi grossi di Wall Street e tra questi diversi hedge fund come D.E. Shaw, Highbridge Capital Management, Lighthouse Partners e Saba Capital Management (tutti detengono delle quote di DWA). L’amministratore delegato, con il 18 per cento delle azioni, si chiama Patrick F. Orlando, un passato a Deutsche Bank, esperto di strumenti finanziari innovativi, come i derivati; il capo della parte finanziaria è Luis Orleans-Braganza, discendente di una famiglia reale, membro del Parlamento del Brasile, un personaggio molto vicino al presidente Bolsonaro di cui avrebbe dovuto fare il vice ma un presunto scandalo lo avrebbe indotto a rinunciare. 

Questi sono i finanziatori della “verità” di Trump che in virtù di questa fusione si trova circa 300 milioni di dollari da spendere e vanta già una valutazione miliardaria (1,7 miliardi di dollari) per la sua TMTG. Si tratta di cifre che vanno tutte verificate sul campo intanto però Trump si è già impossessato della parola più importante, quella che lui stesso ha più bistrattato: verità. Va detto che anche da noi non è che stia in buonissime mani.