Linda Caridi: «Non occorre assomigliare agli uomini per affermarsi»

Dopo aver conquistato il cinema grazie a film come Ricordi? e Lacci, l'attrice si prepara a fare il suo ingresso nella terza stagione de Il Cacciatore, al via su Rai2 il 20 ottobre. Dalla volontà di trasformarsi ai sogni per il futuro, la nostra intervista
Linda Caridi «Non occorre assomigliare agli uomini per affermarsi»
©Assunta Servello

Quando era piccola, Linda Caridi aveva l'abitudine di infilarsi per gioco i vestiti di mamma e papà: «Spuntavo dalla camera tutta agghindata e cominciavo a intrattenere», racconta al telefono da Milano, aggiungendo di aver avuto una fase in cui si divertiva a disegnare le collezioni autunno-inverno da sposa con un set da sarta che le avevano regalato. Da quando era bambina, mettersi nei panni di qualcun altro è diventato, per Caridi, la spinta che l'ha portata a diventare un'attrice e ad accettare sfide sempre più ardite: più il travestimento è estremo e lontano da lei, più Caridi si diverte a creare. In questi giorni è impegnata in un progetto teatrale e in una piccola parte in un film di cui non può anticipare niente, ma nel frattempo si prepara a sbarcare su Rai2 in un ruolo che i fan de Il Cacciatore, la popolare fiction con Francesco Montanari al via il 20 ottobre, apprezzeranno subito: quello del magistrato Paola Romano, donna risoluta che Saverio Barone non accoglierà facendo salti di gioia.

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«Viene da una famiglia di avvocati penalisti: il suo cognome è ingombrante, e non le renderà facile aprirsi una strada in completa autonomia», rivela Linda con voce dolce e pacata. Dopo aver conquistato il pubblico con Antonia., il film biografico diretto da Ferdinando Cito Filomarino, con Ricordi? di Valerio Mieli e con Lacci di Daniele Luchetti, per Caridi è arrivato il momento di una nuova sfida che, così come piace a lei, potrebbe portarla a esplorare dei lati più oscuri che i registi che si imbattono in lei sfruttano poco, rapiti dalla sua delicatezza e dalla sua grazia.

Paola Romano è una donna forte, ma anche con una profonda fragilità: cercare l'approvazione degli altri.
«Mentre cercherà il modo per farsi accettare da Barone e dal gruppo di lavoro dovrà maturare una sua personale evoluzione e affrancarsi dagli altri, maturando la fiducia di potersi legittimare da sola».

Il Cacciatore, di primo acchito, sembra una serie molto maschile. Con il suo personaggio c'è la volontà di rompere gli schemi?
«Il taglio maschile rifletteva l'ambiente di quegli anni: non c'era tanta attenzione alle quote rosa all'interno delle istituzioni. Le cose sono iniziate a cambiare con Francesca Inaudi nella seconda stagione e, adesso, con questa sorta di Barone al femminile che è Paola, una donna con una grandissima dedizione al lavoro, ma anche con qualche colpo di testa. Nel suo percorso, Paola capisce che il modo migliore di avere successo nelle cose che fa è riuscire ad apprezzare sé stessa. È una cosa che si riflette anche nel suo modo di vestire, nel tailleur che indossa alla fine della serie e che sembra farle capire che non occorre assomigliare agli uomini per affermarsi».

Il cast de Il Cacciatore 3

©Assunta Servello

Lei ha mai avuto il desiderio di approvazione da parte degli altri?
«Credevo, generazionalmente, di appartenere a un'epoca in cui fosse superato, ma mi sto accorgendo che lo abbiamo talmente assorbito che non sarà facile liberarsene. Affrancarsi da una legittimazione esterna è un processo molto liberatorio. A livello di evoluzione storica, penso che qualche frutto lo stia dando». 

Il periodo in cui si ricerca la propria identità è soprattutto l'adolecenza. Lei che adolescente è stata?
«Inquieta, alla ricerca dei dettagli, sia in me stessa che nelle altre persone. Nei viaggi in metropolitana spesso mi perdevo la fermata perché rimanevo assorbita dagli altri, mi perdevo nel loro modo di parlare, di muoversi, di leggere. Sono ancora molto attratta dall'essere umano». 

Per il suo mestiere, la curosità è fondamentale.
«È una sfida che rimane attiva, sia per la relazione che per l'ascolto. C'è un desiderio di comprendere che va oltre la semplice osservazione».

Quando ha capito che questa osservazione poteva essere messa in pratica nel suo lavoro?
«Quando, prima di entrare in accademia, in compagnia giocavamo a creare i personaggi e ci dissero che non dovevano riconoscerci, che saremmo dovuti arrivare sul palco trasformati».

Quando uno si maschera, deve sentirsi a suo agio o a disagio, secondo lei?
«Penso che non ci sia una categoria giusta o sbagliata. È bello andare a indagare come ci si sente a essere nei panni di qualcun altro e scoprirti a tuo agio in una veste lontanissima da te». 

A lei è capitato?
«Il costume in generale mi aiuta tantissimo a portare avanti il lavoro. A volte sono quasi più stretta nell'immagine per la quale sono associata».

Che immagine è?
«Quella della dolcezza e della delicatezza: un binomio che nel Cacciatore viene usato per definire  il personaggio che intepreto».

Dolcezza e delicatezza sono un complimento?
«Sono delle qualità pari ad altre. Guardo alle tipologie non in un'ottica di giudizio, ma di varianza. È un concetto che ci ha introdotto una psicologa parlando dell'identità di genere che prima non conoscevo».

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Mai avuto un piano b alternativo al cinema?
«No, anche se il mestiere dell'attrice ha talmente tante possibilità che i piani b, c e d sono contenuti nel mestiere stesso. Da un po' di tempo tengo un laboratorio di teatro al Niguarda di Milano, al reparto di disturbi e comportamento alimentare: è una declinazione del mio lavoro che mi aiuta a mettere le conoscenze che ho maturato a servizio di un ambiente che può averne bisogno. È una declinazione del mio mestiere che potrebbe essere un piano b».

A ripercorrere la sua vita, mi sembra che molti suoi sogni si siano realizzati. Cosa è rimasto in sospeso?
«Mi piacerebbe poter concepire una storia e realizzarla in vesti che non siano quelli dell'interprete ma, per ora, non mi sento ancora pronta. Preferisco mettermi al servizio della visione di qualcun altro».

Insistendo nel sogno: c'è qualcuno che le piacerebbe dirigere in futuro? 
«Mi piacerebbe molto lavorare con i bambini e con gli anziani, due momenti dell'evoluzione umana agli antipodi, molto interessanti per me».