Atm Milano, la funzionaria che clonava i biglietti con il codice «999»: sequestrati conti e maxi villa

di Gianni Santucci

La responsabile è stata licenziata nel 2018. Comandava un gruppo di impiegati «infedeli» che stampavano biglietti e abbonamenti e li rivendevano in nero agli sportelli. Lo scandalo denunciato da un whistleblower. La banda sottraeva denaro all’azienda anche sui ticket per la sosta. La difesa: radicale insussistenza degli addebiti

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Alcuni suoi collaboratori prendevano il metrò con uno zainetto o una borsa pieni di biglietti. Facevano il percorso Duomo-Stazione Centrale. Vendevano i ticket per il metrò da 1,5 euro. E tornavano indietro, fino in Duomo, dove si trova l’Atm Point di cui era responsabile, e le consegnavano l’incasso. Tutti quei biglietti però erano stampati in nero, cioè biglietti regolari (che permettevano di passare i tornelli) ma sottratti alla contabilizzazione. Di fatto, sfruttando una grave carenza organizzativa e gestionale interna ai sistemi dell’azienda (in seguito corretta), alcuni dipendenti stampavano rotoli e rotoli di biglietti, in una sorta di «stamperia parallela»: il ricavato lo trattenevano tutto per sé. Al centro di questa «zecca clandestina» di biglietti, secondo le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo, c’era la responsabile dell’Atm Point «Duomo» (licenziata nel 2018, la causa di lavoro è in corso) alla quale oggi il pm Daniela Bartolucci notifica l’atto di chiusura indagini e contro la quale nei mesi scorsi è stato fatto un sequestro preventivo per somme che vanno oltre il milione di euro (compresa una villa nell’hinterland di Milano).

Il «sistema»

La ramificata rete di «peculato aggravato» è stata bloccata dalla denuncia dell’azienda tra 2017 e 2018, dopo che un dipendente whistleblower aveva iniziato a denunciare che un gruppo di dipendenti stava spolpando da anni le casse dell’Atm dall’interno, dirottando verso le proprie tasche gli incassi dei biglietti venduti in nero, somme che sarebbero dovute finire invece al Comune di Milano (anche il whistleblower è stato poi licenziato e oggi è in causa contro l’Atm, un percorso nel quale ha avuto già una prima vittoria a livello penale). La funzionaria, stando alle indagini, aveva creato un sistema che sfruttava due canali principali: la vendita in nero e i falsi rimborsi. Negli atti è scritto che prelevava «da una scatola di cartone contenuta nella sua cassaforte un numero indeterminato» di abbonamenti intera rete Lombardia da 1.027 euro, «consegnandoli in cambio del controvalore in contanti all’operatore di sportello» (suo sottoposto) che poi provvedeva «a produrre una bolla di reso». Tradotto: facevano figurare che un passeggero si fosse presentato allo sportello per riconsegnare il suo abbonamento, comprato ma mai utilizzato, e di aver restituito il valore in contanti allo stesso fantomatico passeggero. Ogni volta che faceva questo trucco, la funzionaria si metteva in tasca un «gettone» cash da 1.027 euro. I trucchi riguardavano qualsiasi titolo di viaggio, di qualsiasi valore. L’1 giugno 2017, ad esempio, «predisponeva una bolla di reso per 2.500 abbonamenti bi-giornalieri, risultati poi inesistenti, per complessivi 20.625 euro», che poi sottraeva all’inventario «attraverso una serie di artifici tecnici». In pratica, faceva figurare di aver rimborsato quei 2.500 ticket e intascava l’intera somma.

Il trucco del 999 sulla sosta

Non solo biglietti per i mezzi pubblici. In quegli anni (le indagini hanno ricostruito fatti tra 2014 e 2018) la banda dei biglietti clonati sottraeva denaro all’azienda anche sui ticket per la sosta. Nel 2017 venivano vendute tessere elettroniche da 100 euro per pagare il parcheggio delle auto «richiedendo pagamenti in contanti»: una quota di queste operazioni di vendita non venivano poi registrate. Altre volte le tessere venivano contabilizzate nel cervellone elettronico aziendale come vendute a tariffa agevolata da 30 euro, «pur ricevendo in contanti dal cliente il prezzo standard di 100 euro». I 70 euro di differenza erano l’incasso «privato» (e sottratto alle casse pubbliche). Scorrendo le testimonianze, le analisi tecniche e i documenti di indagine, si scopre che questa ramificata operazione di peculato è stata possibile perché il sistema di gestione dei biglietti dell’azienda metteva nelle mani dei dipendenti infedeli strumenti estremamente semplici per truccare le operazioni, senza che ci fosse alcun sistema di allerta.

Il codice 999

L’esempio chiave è quello del «codice 999», un comando che in gergo tecnico permetteva operazioni «trasparentate»: in pratica quel codice consentiva di spostare certe operazioni in un cassetto «invisibile», come non fossero mai esistite. E così, tra luglio 2017 e gennaio 2018, la funzionaria avrebbe creato «due bolle per schede sosta e park elettronici per un valore di 18.680 euro, poi “trasparentate” attraverso il codice di magazzino 999 che ne consente la cancellazione». In pratica, le schede venivano create e vendute, ma poi codificate come mai esistite per la contabilità aziendale: altro modo per trattenere l’incasso senza girarlo all’azienda. Allo stesso modo in un’altra circostanza sono state generate «870 schede sosta, 74 park elettronici da 100 euro e 267 park elettronici da 30 euro» (valore complessivo 18.860 euro). E siccome questo filone di sfruttamento era evidentemente così agevole, nel 2017 le «operazioni di reso» sono state 255, per un totale di 196.931 euro, tutte nascoste dietro il «codice 999»: e dunque rimborsi finti, con il denaro che non andava ai passeggeri ma nelle tasche della funzionaria. Alla quale viene infine contestato di aver venduto sottobanco anche un certo numero di libri storici dell’Atm, ognuno al costo di 35 euro. La funzionaria però contesta tutte le accuse. I suoi avvocati, Martina Scalia e Jacopo Campomagnani, precisando che la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini non costituisce esercizio dell’azione penale, spiegano: «Siamo pronti a dimostrare, nelle sedi e nei tempi previsti dalla legge, la radicale insussistenza degli addebiti, basati su un impianto indiziario privo di riscontri obiettivi e su una ricostruzione contabile del tutto inattendibile».

Oggi è stata chiusa l’indagine a carico della funzionaria, ritenuta «a capo» del gruppo di dipendenti infedeli (una decina) che avevano trasformato la biglietteria in una sorta di zecca clandestina: stampavano biglietti e abbonamenti e, sfruttando le falle organizzative e gestionali nel sistema di contabilizzazione dell’azienda, li rivendevano in nero agli sportelli, tenendo per sé l’incasso invece che versarlo nelle casse dell’Atm. Alla funzionaria (già sospesa da oltre un paio d’anni dall’azienda) è stata sequestrata una grande villa fuori Milano, parte principale di un provvedimento da 1,2 milioni di euro, un atto giudiziario che racconta quale fosse il livello di affari dei biglietti clonati.

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18 ottobre 2021 (modifica il 19 ottobre 2021 | 08:55)