In un'udienza di due giorni a luglio, le due donne hanno sostenuto che la legge che permette l’aborto fino all’ultimo giorno stigmatizza le persone che sono nate con la sindrome di Down, violando i diritti sanciti dalla Convenzione europea sui diritti umani (ECHR) e, più in generale, «i diritti alla dignità, all'autonomia e allo sviluppo personale». Tuttavia, i giudici non hanno dato loro ragione: secondo il tribunale, la legislazione in vigore non è illegale e mira a trovare un equilibrio tra i diritti del nascituro e quelli delle donne.
«Le questioni che hanno dato origine a questo ricorso sono molto delicate e talvolta controverse», hanno spiegato i giudici nella sentenza. «Generano sentimenti forti e sincere divergenze di vedute su questioni etiche e religiose. Questa corte non può entrare in quelle controversie; deve decidere solo a norma di legge».
E ancora: «Vi sono prove importanti, che sono state portate davanti a questo tribunale, di famiglie che hanno creato un ambiente amorevole per i bambini nati con gravi disabilità, ma non sappiamo cosa accadrebbe, nel caso in cui alcune donne si sentissero costrette dalla paura di violare la legge penale a dare alla luce bambini che non saranno amati o voluti».
Heidi Crowter ha commentato spiegando che, per lei, è un giorno «triste», e ha promesso di continuare a combattere. Insieme al marito, James Carter, fuori dalla Royal Courts of Justice, ha spiegato: «I giudici potrebbero non pensare che questa legge mi discrimini, il governo potrebbe non pensare che mi discrimini, ma vi sto dicendo che invece mi sento discriminata. Il verdetto non cambia il modo in cui io e migliaia di altre persone con la sindrome di Down ci sentiamo».
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