Il governo non ha intenzione di aumentare le tasse. In questo momento i soldi si danno e non si prendono» ha spiegato Mario Draghi all’assemblea annuale di Confindustria. La frase non è nuova. Il premier aveva già dato rassicurazioni in tal senso nel suo discorso di insediamento al Senato tenutosi nel febbraio scorso. E, infatti, in questi mesi di emergenza economica e sanitaria, l’esecutivo da lui guidato ha distribuito oltre 70 miliardi di euro tra sussidi e bonus. La situazione, tuttavia, sta cambiando. Decisamente in meglio. Sia dal punto di vista della gestione della pandemia (grazie alle vaccinazioni) sia da quello economico: la ripresa è in corso e dal mercato del lavoro arrivano dati incoraggianti. C’è, allora, da chiedersi se sia ancora appropriato continuare a garantire che l’esecutivo non metterà le mani nelle tasche degli italiani, come si usa dire. Ha senso replicare la strategia “soldi per tutti” seguita all’inizio della crisi? Questa nuova fase richiederebbe scelte, selezione, distinzioni. Le risorse dovrebbero andare a chi ha davvero bisogno. E, invece, non sembra essere interamente così. Basti pensare ai nuovi “sussidi per tutti” contro il caro energia - approvati proprio in questi giorni - oppure all’assegno universale unico che entrerà in vigore il prossimo anno e che - come dice il nome stesso - è “universale”, quindi, per tutti. L’altro aspetto che lascia perplessi è quello relativo al tempo. Quanto può durare il “momento” in cui il governo non tassa, non taglia e spende a debito? Il contesto per spendere indebitandosi - ossia “dare” - è certamente favorevole. Grazie alla Banca centrale europea il debito costa poco. E, si può emetterlo in abbondanza senza incorrere in infrazioni visto che le regole fiscali europee sono state sospese. Questo contesto, però, è destinato a mutare. Lo ha detto lo stesso Draghi. Ci sarà un diverso assetto di riferimento internazionale con “nuove condizioni finanziare e il graduale affievolirsi degli stimoli di bilancio”, ossia politiche monetarie e fiscali meno espansive. Spendere a debito diventerà più difficile e più costoso. Finirà, quindi, il momento di “dare a tutti”. Inizierà quello di selezionare. Il debito, inevitabilmente, tornerà al centro del dibattito. Non più come soluzione, semmai come problema. Difficile prevedere con esattezza quando ciò avverrà. Peraltro, quando si hanno a disposizione oltre 230 miliardi di fondi europei da spendere la percezione dell’urgenza cambia. Sembra sempre troppo presto per incominciare a rimettere il rapporto debito/Pil su una traiettoria decrescente. Ma come ha dimostrato la precedente crisi, il debito non è un problema finche non lo diventa. Sarebbe auspicabile non farsi cogliere di sorpresa. Non «aggiungere incertezza interna a quella esterna» per usare le parole del premier. Se si vuole ribadire che «questo è il momento di dare», quindi di spendere, andrebbe forse spiegato che si sta avvicinando il momento di programmare i nostri conti pubblici. Per non essere impreparati nel medio termine. E, nell’immediato, per non dare messaggi fuorvianti a chi, in Europa, ci sussidia parte del nostro programma di Next Generation Eu. Tra questi ci sono i tedeschi che oggi eleggono un nuovo cancelliere.