Se negli Usa la Food and drug administration si è espressa contro la terza dose di vaccino anti Covid (con l’eccezione di over 65 e soggetti ad alto rischio) perché Pfizer non ha fornito sufficienti dati sulla sicurezza, i numeri in arrivo da Israele sono confortanti sul ruolo della terza inoculazione nel proteggere dal contagio. Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, sulla base dei dati del ministero della salute israeliano, mostra infatti che i casi di contagio e di malattia grave calano “sostanzialmente” con la terza dose Pfizer somministrata finora a oltre 3 milioni di persone.

Il tasso di infezione, rilevato almeno 12 giorni dopo il ‘booster’, è inferiore di “11,3 volte” rispetto alle due dosi mentre “il tasso di malattia grave è inferiore di 19,5″ volte. Lo studio è stato condotto dal 30 luglio al 31 agosto su 1,13 milioni di over 60 che avevano completato l’immunizzazione 5 mesi prima, divisi in due gruppi: quelli cui è stato somministrata la terza dose e quelli che ne hanno ricevute due. Rispetto alla variante Delta, si legge nello studio, la terza dose Pfizer “porterebbe l’efficacia del vaccino tra i soggetti che hanno ricevuto il richiamo a circa il 95%, un valore simile all’efficacia del vaccino originale riportata contro la variante Alfa”.

Secondo il metodo seguito dai ricercatori, sono stati estratti i dati per il periodo dal 30 luglio al 31 agosto 2021, dal database del Ministero della Salute israeliano, riguardanti 1.137.804 persone di età pari o superiore a 60 anni e che erano state completamente vaccinate (cioè avevano ricevuto almeno due dosi del vaccino Pfizer-BioNTech) 5 mesi prima. Nell’analisi primaria, è stato confrontato il tasso di Covid-19 confermato e il tasso di malattia grave tra coloro che avevano ricevuto un’iniezione di richiamo almeno 12 giorni prima (gruppo di richiamo) e coloro che non avevano ricevuto un’iniezione di richiamo (gruppo non di richiamo).

Nell’analisi secondaria, invece, è stato valutato il tasso di infezione da 4 a 6 giorni dopo la dose di richiamo rispetto al tasso di almeno 12 giorni dopo il richiamo. E i ricercatori sono arrivati alle conclusioni che i tassi di Covid-19 confermato e malattie gravi erano “sostanzialmente inferiori” tra coloro che avevano ricevuto un richiamo (terza) dose del vaccino Pfizer. Nello studio spiegano anche che la malattia grave “è stata definita come una frequenza respiratoria a riposo superiore a 30 respiri al minuto, una saturazione di ossigeno inferiore al 94% durante la respirazione dell’aria ambiente o un rapporto tra pressione parziale di ossigeno arterioso e frazione di ossigeno inspirato inferiore a 300”.

I dati diffusi negli Stati Uniti dal Center for Disease Control and Prevention, come ha rivelato il New York Times, dicono che l’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech contro i ricoveri da Covid cala significativamente dopo quattro mesi dalla seconda dose. Pfizer è efficace al 91% nel prevenire i ricoveri fino a 4 mesi dopo la seconda dose, poi l’efficacia cala fino al 53%. I dati relativi a Moderna mostrano invece come quel vaccino resti efficace contro i ricoveri anche dopo quattro mesi: l’efficacia dopo quattro mesi contro i ricoveri è al 92%, virtualmente identica al 93% iniziale. Lo studio è basato sull’analisi di 3.700 adulti ricoverati negli Stati Uniti fra marzo e agosto. Per Johnson &Johnson non ci sono invece dati comparabili dato che il campione esaminato non includeva abbastanza persone che avevano ricevuto l’unica dose J&J. Secondo il New York Times, i dati del Cdc si contrappongono ad altri studi secondo i quali l’efficacia del vaccino Pfizer contro i ricoveri resta sopra il 90% nonostante la variante Delta.

Lo studio su Nejm

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