Referendum No green pass, via alla raccolta di firme

di Redazione Online

Un gruppo di persone ha iniziato a raccogliere firme per chiedere l’abrogazione del green pass: nel comitato dei garanti ci sono docenti universitari e l’ex consigliere di amministrazione della Rai Carlo Freccero

desc img

È stata avviata la raccolta di firme per proporre un referendum abrogativo delle norme sul green pass, il cui utilizzo è stato di recente esteso con un decreto del governo che entrerà in vigore dal 15 ottobre prossimo.

Secondo i promotori, il green pass «costituisce un palese strumento di discriminazione che collide con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico», poiché escluderebbe «dalla vita economica e sociale della nazione quei cittadini che sostengono convinzioni ed evidenze diverse da quelle imposte dal Governo» e spingerebbe «surrettiziamente i cittadini alla vaccinazione».

I quattro quesiti referendari proposti vorrebbero abrogare «le disposizioni legislative in materia di green pass».

La raccolta di firme
La raccolta di firme — secondo quanto si legge sul sito del comitato referendario — avviene sia fisicamente (si parla anche di «tavoli dei volontari») sia digitalmente. Proprio nelle scorse ore, è stata raggiunta con estrema rapidità — grazie alla possibilità di raccogliere digitalmente le firme — la quota di 500.000 firme per il referendum sulla cannabis. La soglia di 500 mila firme è necessaria per proporre un referendum abrogativo. La raccolta di firme digitali per proporre un referendum è possibile soltanto dallo scorso 20 luglio. Proprio nelle scorse ore, Matteo Renzi, leader di Italia viva, aveva lodato questa possibilità, ma aveva sottolineato i possibili risvolti negativi, perché «non deve passare il principio del referendum sul green pass, ad esempio».

«La legge sul referendum deve essere cambiata. Con la raccolta delle firme online, la soglia delle 500 mila adesioni è troppo facile da raggiungere: come diceva Stefano Rodotà, si rischia di trasformare la democrazia rappresentativa nella democrazia dell’immediatezza telematica», ha detto oggi sul «Corriere della Sera» Gaetano Azzariti, costituzionalista e professore ordinario alla Sapienza di Roma, con il rischio di «delegittimare le istituzioni». Azzariti considera «razionale, anche se insufficiente, la proposta del Pd di introdurre il giudizio della Corte Costituzionale dopo le prime 10mila firme, per evitare che vengano bocciati referendum dopo che magari hanno avuto l’adesione di un milione di persone».

I promotori e i garanti
Il sito del comitato referendario riporta i nomi sia del comitato organizzativo, sia del comitato dei garanti. Del primo elenco fanno parte i nomi dell’avvocato Olga Milanese, del Foro di Salerno; del professor Luca Marini, docente di diritto internazionale alla Sapienza di Roma, già vice presidente del Comitato nazionale per la Bioetica; del professor Francesco Benozzo, docente di Filologia romanza all’Università di Bologna. Del secondo elenco danno parte i nome del professor Paolo Sceusa, presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione; del professor Ugo Mattei, docente di diritto civile all’Università di Torino; del professor Alberto Contri, ex presidente della Fondazione Pubblicità progresso; di Carlo Freccero, giornalista ed ex consigliere di amministrazione della Rai.

L’iter per proporre un referendum
I referendum abrogativi sono regolati dall’articolo 75 della Costituzione, che impone il limite di 500 mila firme (o 5 Consigli regionali) per proporre agli elettori «l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge». La Costituzione vieta di proporre referendum abrogativi di «leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali». Non è nemmeno possibile abrogare con questo strumento disposizioni costituzionali.

Una volta presentate le firme necessarie per proporre un referendum abrogativo, a dare effettivamente la possibilità al corpo elettorale di esprimersi è la Corte Costituzionale, che deve pronunciarsi preventivamente sulla legittimità costituzionale del referendum.

I tempi del referendum
Nel caso in cui le 500 mila firme venissero raccolte, e la Corte costituzionale ritenesse che i quesiti sono costituzionalmente legittimi, quando si potrebbe andare al voto? La data, al momento, non è ipotizzabile, ma non sarebbe di certo prima della primavera 2022. Vediamo perché.

Le firme, al netto di eventuali proroghe, vanno raccolte entro il 30 settembre per poter celebrare il referendum nella primavera successiva. Una volta consegnate alla Consulta, la Corte decide sull’ammissibilità dei quesiti entro il 10 febbraio dell’anno successivo a quello della presentazione delle firme. Una volta garantita la loro ammissibilità, l’incarto va al Quirinale e, come prescritto dalla legge, viene fissata la data delle consultazioni referendarie, in un periodo compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Se la scadenza del 30 settembre per la raccolta delle firme non venisse rispettata, l’iter per votare un referendum abrogativo delle norme sul green pass si complicherebbe di molto. Come previsto dalla legge 352 del 1970, all’articolo 31, non è infatti possibile depositare richiesta di referendum nell’anno «che precede lo scioglimento di una delle due Camere». Essendo questo scioglimento previsto per il 2023 (alla scadenza della legislatura), non sarebbe possibile presentare la richiesta entro il 30 settembre 2022, ma si slitterebbe al 30 settembre 2023, con voto possibile a primavera 2024.

19 settembre 2021 (modifica il 20 settembre 2021 | 11:32)