Roma ha una forte identità
Torino non sa più chi è

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
non capisco perché lei abbia criticato tanto duramente Torino, paragonando le serrande abbassate della domenica all’ex Ddr, mentre ha sotto gli occhi lo scandalo della capitale d’Italia.
Franco Bruni, Moncalier

Caro Franco,
Ringrazio lei e i tantissimi lettori che mi hanno scritto sul caso Torino. Molti erano d’accordo, molti hanno espresso il proprio dissenso con buoni argomenti, in un ottimo italiano, e con un rispetto che spesso manca nella discussione pubblica. Ho sempre detestato l’espressione «torinesi falsi e cortesi». Magari i torinesi avessero esportato — oltre alla moda, al cinema, alla tv… — pure la loro cortesia. Roma è amministrata in modo osceno. In questi giorni di ripresa del traffico, il centro della capitale è sconvolto dai cantieri estivi ancora aperti. Peggiore ancora è la situazione nel quartiere in cui abito: i lavori alla stazione Tiburtina, che dovrebbero avanzare giorno e notte, languono, con gravi disagi per viaggiatori e residenti. Tutti e tre gli ultimi sindaci, espressione di destra, sinistra e 5 Stelle, hanno fallito: segno che il problema non è solo di classe dirigente, per quanto modesta. Ma una città non è solo la sua amministrazione. Ai romani piace criticare Roma; ma non sono minimamente sfiorati dal dubbio che essere romani non sia la più grande fortuna che possa capitare a un essere umano. Roma ha una forte identità, una forte personalità. È piena di sé. È convinta che Totti fosse più forte di Messi. Ha imposto il proprio accento e il proprio slang all’industria culturale italiana. Parla di Ottaviano Augusto come fosse vissuto ieri (occhio a non sottovalutare Michetti: certi discorsi ai romani piacciono). Torino non sa più chi è. Ha lasciato che i grandi torinesi degli ultimi due secoli venissero denigrati e insultati da un movimento culturalmente debolissimo ma mediaticamente fortissimo, i neoborbonici. La città che ha fatto l’Italia due volte, a San Martino e a Mirafiori, costruendo la nostra unità nazionale e la nostra rivoluzione industriale a prezzo di sangue e fatica, non ha saputo difendere il suo patrimonio, la sua eredità. E non sa quale sia oggi il proprio ruolo e il proprio destino. Certo, ci sono molti segnali di tenuta: il Politecnico, il Salone del Libro, la Juve (almeno fino a ieri), la Stampa, la Lavazza che porta in città i Masters del tennis, eccetera. Ma la crisi in cui versano Torino e il Piemonte non è solo economica. È culturale e morale. Se non capiremo questo, non troveremo la via d’uscita.

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Storia

«Eitan sequestrato? Le “radici ebraiche” non c’entrano»

Leggo gli interventi sulla vicenda di Eitan Biran, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone (avvenuta il 23 maggio corso), e sento di dover reagire. Si tratta di un bambino di sei anni che ha subito il trauma della perdita dei genitori e del fratello e che è stato sequestrato dal nonno materno, ex militare, con un volo privato e sottratto alla zia paterna, suo tutore legale. Questo «signore» è indagato dal Tribunale di Pavia per sequestro di persona ed è agli arresti domiciliari in Israele, dove il bambino è stato portato. L’atteggiamento indulgente verso il nonno che ha riportato Eitan nel luogo delle sue «radici ebraiche» è inaccettabile e, tra l’altro, nega secoli di storia e teoria della Diaspora. È necessario convincersi che essere ebrei è cosa molto diversa, per natura, dall’essere Israeliani. Senza questo passaggio ogni discussione su Israele diventa ideologica; la vicenda di Eitan ci parla, invece, di leggi e reati che devono lasciare poco spazio all’interpretazione. Se il gesto dell’uomo fosse motivato dalla disperazione di un padre che ha perso il figlio e che cerca di trattenere il suo ricordo, dovrebbe suscitare compassione ma se, come alcuni sostengono, fosse un surreale ritorno alle radici ebraiche, sarebbe da condannare senza se e senza ma. Il fatto che Eitan si trovi ora in un altro Paese democratico non deve far ragionare, né ebrei né non ebrei, diversamente da come si farebbe se ad essere rapito fosse stato un bambino zoroastriano portato in Iran o musulmano portato nel Maghreb.
Sylvia Bartyan

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