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Per la barba di Dante!

Abbiamo tutti in mente la pubblicità di un marchio di lamette che fa sfidare i “bomber” (uomini dai volti ben rasati) e i “king” (uomini barbuti), entrambi orgogliosi del loro aspetto. Fino a poco tempo fa avremmo giurato, sulla base della iconografia tradizionale, che dovendo situare Dante Alighieri nell’uno o nell’altro gruppo lo avremmo messo senza esitare tra i glabri, cioè gli uomini senza nemmeno un peletto sul viso. Così ce lo hanno mostrato tanti ritratti e la sua immaginetta tradizionale: preso di profilo, col suo bel nasone e il cappuccetto rosso del lucco, un tantino ingrugnato, zigomi pronunciati e faccia liscia liscia.
Ora però una mostra inaugurata al Museo Faina di Orvieto scombina le carte e cambia radicalmente il percepito dell’aspetto di Dante Alighieri uomo. Che faccia ha avuto davvero il nostro poeta nazionale? Ci interessa saperlo, sissignore. E se vengono prese delle licenze poetiche nel rappresentarlo (come è successo per esempio con Leonardo da Vinci, a detta del Vasari biondo come il grano e con gli occhi chiari, che è diventato un improbabile bel morettone in una fiction tv recente), vorremmo esserne prontamente edotte!

Ritratto di Dante Alighieri con la barba. 1575-1600. Ambiente dei fratelli Zuccari (foto: ANSA / GIANLUIGI BASILIETTI)

L’identikit del Boccaccio

Allora: tutto cominciò dal Boccaccio. Da Giovanni Boccaccio, esattamente, l’autore del Decamerone. Ser Giovanni, incaricato dalla signoria di Firenze di scrivere una mini biografia in laude di Dante dopo la di lui morte in esilio, così lo descrive, come lo hanno conosciuto persone ancora in vita che lui intervista volonterosamente: Dante era di media statura, di colorito olivastro, con dei grandi occhi espressivi, un naso importante, i capelli scuri e ricci e la barba, una bella barba altrettanto scura.
Questo aspetto è coerentissimo con il Dante autentico, un uomo non dedito soltanto alla poesia, ma atletico, se è vero come è vero che alla battaglia di Campaldino si schierò in prima fila tra i feditori, cioè quei cavalieri che combatterono con la lancia in resta, reggendo l’assalto dei cavalieri aretini: un ruolo per il quale non ci si improvvisa, bisogna avere una educazione militare, un allenamento, insomma bisogna averci il fisico, come diremmo oggi.

Di rosa in rosa

E questo Dante sa fare il soldato, sa giostrare nei tornei, è amante della caccia soprattutto col falcone, è un buon ballerino e un discreto tombeur de femmes. Del resto la sua prima opera poetica è birichina: ci è pervenuta col titolo di Fiore e per decenni i professori più ligi hanno cercato di convincerci che non l’avesse scritta lui, dal momento che il fiore da conquistare dentro il giardino segreto di cui lui parla altro non è che il sesso femminile. Un bel percorso, da quella rosa proibita che il cavaliere vuole amorosamente sfogliare con la sua lancia a quella candida dei beati del paradiso descritta nella Divina Commedia… Ma il Dante vero era anche questo. Per fortuna!
Vogliamo saperne di più di questo dipinto da poco ritrovato.

Storia di uno scoop

Ritratto di Dante Alighieri con un accenno di barba. Dalla Cappella di San Brizio, c. 1500. Trovato nella collezione del Duomo di Orvieto. (Photo by Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images)

«Il primo accenno al quadro conservato a Orvieto» ci spiega il curatore della mostra “Il vero volto di Dante Alighieri”, il professor Giuseppe Maria Della Fina «è in un articolo de L’Osservatore Romano del 22 novembre 1967 a firma di V. Presicci, recuperato e valorizzato di recente da Aldo Lo Presti. L’inquadramento cronologico e stilistico si deve allo storico dell’arte Michele Maccherini.)
Non è che la barba gliel’hanno aggiunta dopo? chiediamo, sospettose.
«Di certo la barba sul volto di Dante è autentica e non è stata aggiunta successivamente, come hanno confermato le analisi effettuate dai restauratori del Consorzio Pragma, Valentina Romé, Davide Rigaglia e Massimiliano Massera.»

E come è arrivato il quadro lì in Comune? domandiamo ancora al professore.
«Probabilmente nel 1927, dopo la soppressione della Sottoprefettura di Orvieto che aveva acquisito opere d’arte provenienti almeno da due antiche nobili famiglie orvietane: Pandolfi Alberici e Gualterio.)

La mostra ha anche altre chicche: «Insieme al quadro di Dante, interessato da un intervento di ripulitura ad opera di Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola di Keorestauro, ci saranno tra le altre cose anche un dipinto di Petrarca attribuito allo stessa mano del Dante e una versione del 1927 del Trattatello di Boccaccio. Per gentile concessione della Bonelli Editore, inoltre, saranno esposte anche la copertina e le tavole del racconto a fumetti “PapeSatànAleppe!”, inserito nello speciale n.38 di Martin Mystère dell’agosto 2021, che s’ispirano al Dante con la barba di Orvieto.»

Anche l’occhio vuole la sua parte

Guardando il ritratto di fine Cinquecento ritrovato, ripulito e accuratamente studiato dal gruppo di lavoro orvietano, rivive quel Dante di carne e sangue, non più immaginetta ma uomo vero, che mi è tanto piaciuto tanto raccontare nel mio libro La moglie di Dante, edito da Solferino. Di quell’uomo la “mia” Gemma Donati si è innamorata e questo suo “nuovo” aspetto ritrovato non potrà non suscitare la curiosità di tutte le ammiratrici della sua poesia… anche l’occhio vuole la sua parte e ci piace potercelo immaginare, il nostro Sommo poeta, in tutte le sue sfaccettature. In fondo è stato proprio lui a scrivere che “Lo viso mostra lo color del core…” Il viso, certo. Compresa una bella barba scura.

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA