Catherine Malabou: «Anche il cervello può essere “felice”. La responsabilità è nostra»

di Edoardo Boncinelli

Un genetista e una filosofa si confrontano sulla capacità dei neuroni di rigenerarsi per tutto l’arco della vita. La speranza di non invecchiare (o non invecchiare male) è fondata?

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In tutti gli animali nei quali esiste, il sistema nervoso ha la doppia funzione di mettere in comunicazione il corpo con sé stesso come pure con il mondo circostante. E lo fa trasferendo da una parte all’altra del corpo una grande quantità di informazioni, attraverso una rete di circuiti costituiti di cellule nervose chiamate anche neuroni. Quando è in grado di comunicare con sé stesso, il corpo può anche essere in grado di comunicare con il mondo o, per meglio dire, di rapportarsi con quello. Salendo nella scala evolutiva il sistema nervoso si polarizza nella direzione testa-coda e la parte più anteriore si espande fino a formare un cervello che da quel momento in poi diviene la sua parte più cospicua e rilevante. Il cervello è un accentratore, ma non si presenta operativamente diverso dal resto del sistema nervoso fino a che non inizia a farsi un’immagine interna del mondo stesso. Il resto è per noi … ordinaria amministrazione. Ma per il corpo no. Il bello comincia allora. Rapportarsi con il mondo è più facile e divertente se un’immagine affidabile del mondo me l’acquisisco, quasi stabilmente voglio dire. Per far questo devo studiare, osservare, imparare e utilizzare così il mio cervello per rendere accessibile e ordinato il mondo che kantianamente non so proprio cosa sia. Ne parlo con Catherine Malabou, che insegna filosofia presso il Centre for Research in Modern European Philosophy della Kingston University a Londra.

Siamo le nostre sinapsi

Per Malabou noi «siamo le nostre sinapsi». Su plasticità cerebrale, creatività e neuroni terrà, questa domenica, una lectio al Festival della filosofia di Modena. Il nostro cervello è fatto di miliardi e miliardi di cellule nervose che si chiamano neuroni. La parola d’ordine di queste cellule è comunicare. Nel loro insieme costituiscono una specie di rete di tessuto nervoso. Ciascuna di loro, infatti, comunica con tutte le altre secondo uno schema un po’ complicato che però è possibile semplificare, almeno a parole. Ciascun neurone manda il suo messaggio del momento attraverso una sua propaggine chiamata assone. L’assone di un neurone si allunga verso un altro neurone con il quale stabilirà un contatto materiale di fondamentale importanza che prende il nome di sinapsi. Una sinapsi è il punto in cui la propaggine di un neurone tocca la propaggine di un altro. Non è sbagliato quindi dire che il nostro cervello è una rete di sinapsi. Ma questo non significa che la sinapsi sia il centro del funzionamento del cervello. Perché allora dedicarci tanto tempo ed attenzione? «Proprio perché non esiste un “centro” nel cervello è importante la sinapsi! La scoperta più importante del grande neurologo spagnolo Ramon y Cajal è che, contrariamente a quanto si credeva in passato, la rete neuronale è discontinua. L’informazione nervosa viene trasmessa dalle sinapsi, che creano una “fessura” (synaptic gap), una sorta di apertura. Le connessioni neuronali si formano quindi paradossalmente tramite un vuoto. Perché questa struttura discontinua è così importante? Perché il passaggio dell’informazione attraverso la sinapsi ne modifica la forma. È ciò che viene definito il “fenomeno della plasticità del cervello”.

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Edoardo Boncinelli

Potenziamento a lungo termine

Le connessioni neuronali possono aumentare o diminuire a livello di dimensione e volume a seconda del grado di attività della sinapsi. Quanto maggiori sono le informazioni ricevute, tanto maggiore è la quantità di neurotrasmettitori che la attraversano e tanto più si intensificano le connessioni. Si tratta del potenziamento a lungo termine. Per contro, meno informazioni riceve, più la sinapsi si riduce, dando origine alla depressione a lungo termine. Per esempio, un pianista che si eserciti tutti i giorni sviluppa delle connessioni che sono assenti nei non musicisti. È proprio questa plasticità la ragione per cui non esistono due cervelli identici. L’importanza della comunicazione sinaptica è quindi assodata. Ma per quanto sia un fenomeno chimico, non per questo è di tipo meccanico, perché varia, cambia di intensità. Si può anche agire su di essa attraverso pratiche di meditazione o tramite farmaci. In un certo senso, costituisce gran parte della nostra identità». Qualche anno fa si è scoperto che i nostri neuroni si possono replicare anche in età adulta. Me lo ricordo bene perché in questa scoperta ho messo a suo tempo uno zampino anch’io con il mio gruppo di ricerca. Il fatto è che mentre la maggior parte delle cellule del nostro corpo, a una certa età, smette di duplicarsi, sorprendentemente quelle del cervello possono non smettere o, se smettono, possono all’occorrenza riprendere a duplicarsi. Questo fenomeno può anche accendere la speranza di non invecchiare o di non invecchiare male, perché anche a 100 anni ci sono nel nostro cervello cellule nervose che si duplicano. Su questo non ci sono dubbi.

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Catherine Malabou

Non esiste un modello unico di cervello

Ma quanta importanza ha tutto ciò nella vita di tutti i giorni? Può aprire la porta a un processo di “ristrutturazione” del nostro cervello? «In effetti la neurogenesi dura tutta la vita. I neuroni si rigenerano e possono quindi formarsi nuove connessioni. Per questo è importante mantenere un’attività sia intellettuale sia fisica a qualsiasi età. Ciò non significa tuttavia che il cervello non invecchi. Certi tipi di apprendimento sono difficili, se non addirittura impossibili, dopo una certa età, come imparare a leggere, per esempio. Ma nonostante ciò, il cervello si ristruttura continuamente e all’infinito. L’importanza che ciò riveste nella vita di tutti i giorni è fondamentale. Da un lato, mantenere un certo grado di attività quotidiana consente di prevenire, in parte, malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o la demenza a corpi di Lewy. D’altro canto, ciò ci aiuta a prendere coscienza del fatto che siamo in parte “responsabili” del nostro cervello, che dobbiamo prendercene cura, promuoverne e conservarne la salute. Lo sviluppo cerebrale non termina — come si credeva un tempo — dopo i 20 anni: è un potenziale perenne.

I 100 miliardi di neuroni del feto

Durante la vita fetale si formano la maggior parte dei 100 miliardi di neuroni che operano nel cervello, così come le innumerevoli connessioni sinaptiche che li collegano. In funzione delle esperienze vissute in utero e, successivamente, nei primi anni di vita, molte delle connessioni cosiddette “non pertinenti” o ridondanti vengono eliminate, mentre altre si consolidano. Ma questo processo non avviene solo nei periodi “critici” dello sviluppo. Lungo tutta la vita, il cervello subisce delle modifiche sinaptiche imposte dall’esperienza. Ancora una volta vediamo che il cervello ha una vita e uno sviluppo propri, che non dipendono interamente dai dati genetici. I neurobiologici sono concordi nel dire che il cervello è molto più di un mero riflesso dei nostri geni». A questo punto viene da chiedersi quanto noi siamo liberi nelle nostre scelte, intendo anche solo potenzialmente liberi. Da una parte i geni con la loro memoria e il loro progetto, dall’altra i neuroni con la loro continua attività e le loro sinapsi: non è per caso che tutto ciò che ci passa per la testa è controllato dal nostro corpo? «Certamente il ruolo che il cervello svolge nella nostra vita, a livello di scelte e orientamento professionale, come pure per la costruzione della nostra identità, è fondamentale. I neurologi lo ribadiscono tutti i giorni. La memoria, la concentrazione, la capacità di risolvere i problemi, ma anche le emozioni e la sessualità, sono oggetti di studio costanti. Tuttavia non credo che, nel caso del cervello, si possa parlare di un determinismo rigido».

Più si prendono decisioni, più ci si sente liberi

«La plasticità è infatti sinonimo di flessibilità e differenza. Ognuno ha un proprio cervello: non esiste un modello unico. L’influenza del cervello non pregiudica la libertà. Più si fanno progetti, più si prendono decisioni, più ci si sente giustamente liberi e più il cervello è, in un certo senso, “felice”. Credo che si debba scardinare il concetto di separazione tra corpo e anima. Antonio Damasio propone di chiamare “organismo” l’insieme formato da cervello e corpo. Io sono pienamente d’accordo con questa definizione. È ora di superare il dualismo» Superiamolo quindi, e non solo per questo motivo. Ma nella direzione giusta. Separare va benissimo se lo scopo è scoprire e conoscere. Non va più bene se si tratta di viverla la vita, una matassa di cui non si sa dov’è il capo, se ce n’è uno, o magari due …

18 settembre 2021 (modifica il 18 settembre 2021 | 09:33)