In armonia

L'architettura è una danza di luce, acqua, trasparenza e suspense. Parola di Renzo Piano

Per l'architetto è come se i palazzi fossero navi e, dal Centre Pompidou a Parigi al nuovo masterplan di Monte Carlo, l'obiettivo è lo stesso: farli volare.

di Jackie Daly

L'architetto Renzo Piano nella sede genovese del Renzo Piano Building Workshop, lo studio di architettura che ha fondato nel 1981 e che ha sede anche a Parigi e a New York. Foto Stefan Giftthaler.

8' di lettura

Io costruisco navi volanti», dice il Premio Pritzker Renzo Piano ricordando alcuni dei suoi edifici più iconici: lo Shard (la Scheggia) a Londra, la California Academy of Sciences a San Francisco e l'amatissimo Centre Pompidou a Parigi. Tutti diversi, molti rivoluzionari, ognuno legato all'altro da un filo concettuale che arriva fino ai progetti che sta finalizzando oggi mentre parliamo: un nuovo complesso di uffici e negozi che segnerà la rigenerazione di Paddington Square, a Londra, e un progetto che fa parte di un grande intervento (due miliardi di euro) per estendere il territorio del Principato di Monaco di circa sei ettari verso il mare. Il solo nominare uno dei suoi edifici lo fa partire a cento all'ora: emergono aneddoti, risate e ricordi. È onesto, umile, a tratti parla del lavoro con aria sognante e poetica, ma, a 83 anni, dietro ai suoi intensi occhi azzurri c'è una mente potente e affilata co-me un rasoio. «Tutti i miei edifici volano, cosa che, quando ci pensi, ha assolutamente senso, visto che un architetto passa la vita a lottare contro la forza di gravità», dice. «Se un edificio levita, non porta via niente a una città e a chi ci vive, anzi restituisce qualcosa».

Le sue architetture sono fantastiche prodezze di ingegneria, frutto di un approccio forgiatosi nell'infanzia, essendo nato nel 1937 in una famiglia di costruttori genovesi. «Sono cresciuto dopo la guerra», racconta, «con l'indimenticabile sensazione che costruire palazzi fosse pura magia. Già intorno ai sette anni andavo in cantiere con mio padre, mi sedevo sulla sabbia a guardare gli altri che lavoravano. Non c'erano forme, solo materiali, ma il giorno dopo, quando tornavi, trovavi qualcosa di solido, diritto, verticale e ben fatto. Se cresci in questo modo, non ti preoccupi troppo di che cosa farai nella vita, è già abbastanza chiaro, ce l'hai nel sangue. Ma poi capisci anche che costruire è un gesto bellissimo. È l'opposto di distruggere. Significa edificare e, in molti casi, è un gesto di pace, soprattutto quando crei case per le persone, perché hanno un importante significato civico».

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Piano accanto alla biblioteca e al lavoro. Foto Stefan Giftthaler.

 

A 18 anni Renzo Piano sapeva di voler fare l'architetto. «Non dimenticherò mai il giorno in cui sono andato a dirlo a mio padre. Mi ha guardato per un po', era un uomo di poche parole, e alla fine ha detto: “Va bene, ma perché vuoi essere un architetto quando potresti essere un costruttore edile?”. Il costruttore nella mia famiglia era considerato un dio e, naturalmente, alla fine sono diventato un architetto con una grande passione per la costruzione. La chiamano tecnica, ma molti non capiscono che non si tratta solo di “sapere fare le cose”: nell'antica Grecia la parola téchne definisce anche l'arte, il processo di ideazione e creazione, ed è questo che significa per me».

La sua visione del mondo è stata profondamente influenzata dal fatto di essere cresciuto sul mare. È questo che modella i giochi di luce così fondamentali nelle opere di Piano, come ha testimoniato il grande regista Carlos Saura, che nel 2018 lo ha nominato “L'architetto della luce” in un bellissimo documentario sul rapporto tra cinema e architettura.

«Alla mia età rischi di diventare sentimentale su queste cose, ma la luce ti entra nella pelle, specialmente se cresci sul Mediterraneo. Non è un mare, è un consommé di cultura, è un concentrato di colore, luce, vibrazioni, suoni e voci e, se hai orecchie per ascoltare e occhi per vedere, diventa parte del tuo bagaglio di esperienza e lo porti con te. La luce è magia, forse è uno dei materiali di lavoro più importanti per gli architetti. È fondamentale, per esempio, quando costruisci un museo; luce e leggerezza sono amici stretti, come pure la trasparenza».

La cabina funicolare che conduce allo studio genovese di Piano. Foto Stefan Giftthaler.

 

Piano si anima quando parla di Genova. Il suo studio, su una collina verdissima, è una delle sedi del Renzo Piano Building Workshop (RPBW), fondato qui e a Parigi nel 1981 (e che successivamente ha aperto un avamposto anche a New York). La società ha 150 dipendenti e, nel 2019, è arrivata al terzo posto nella classifica, elaborata da Guamari, dei più grandi studi di architettura italiani, con un fatturato nel 2018 di 13,24 milioni di euro.

Una vista dello studio. Foto Stefan Giftthaler.

 

I toni diventano intimi quando si parla della sua casa sul mare: «Adoro passare del tempo qui e, se posso condividere un segreto, devo dire che ogni volta che mi chiedono di lavorare a un nuovo pro-getto, per prima cosa guardo se c'è acqua. Se c'è, e soprattutto se è salata, già mi piace».

Nel Principato di Monaco, l'intervento di Piano fa parte di un grande progetto che si sviluppa non solo sull'acqua, ma sulla terra rubata al mare. È un progetto fortemente voluto dal principe Alberto di Monaco e che darà vita a Mareterra, un complesso di spazi residenziali, culturali e ricreativi. Nel realizzarlo i costruttori sono stati attenti a proteggere animali e flora locali, e il design di Piano (una serie di residenze sopra il porto che si chiamano Le Renzo e una piazza che prenderà vita con negozi e ristoranti) sarà il gioiello che incoronerà il nuovo quartiere galleggiante e sarà il più alto di una fila di edifici che salgono in altezza, da est a ovest.

Le Renzo, a Mareterra, nel Principato di Monaco. Courtesy Mareterra/RPBW.

 

La sostenibilità ambientale del progetto è stata centrale per Piano, il cui lavoro è da tempo legato all'innovazione ecologica, che secondo lui orienterà il futuro dell'architettura. Nel 2020 ha completato un ospedale a emissioni zero in Uganda e altri tre sono in costruzione in Grecia. Parla del progetto di Monte Carlo come un genitore orgoglioso. «È firmato dall'architetto Denis Valode e partecipa anche l'architetto del paesaggio Michel Desvigne, che pianterà 1.100 alberi. Credo che in totale saranno pre-senti 8mila alberi e l'80 per cento degli edifici userà energia rinnovabile», dice Piano. «I miei edifici appariranno come una nave volante sul litorale di Monte Carlo, e ho progettato anche il lungomare da Port Hercule alla spiaggia di Larvotto». Il quartiere dovrebbe essere completato nel 2024 e le residenze di questa nuova estensione sul mare avranno una metratura che parte da 350 fino ad arrivare a 1.800 metri quadrati. Le più grandi avranno prezzi stellari, fino a decine di milioni di euro.

California Academy of Sciences, San Francisco, 2008. Foto Shunji Ishida, Courtesy RPBW.

 

«Ma è il mare che conta. Che è sempre lo stesso, non importa se sei a New York (dove si è inventato il Whitney Museum of American Art, ndr), a San Francisco (dove c'è la sua California Academy of Sciences, ndr) o a Tokyo (dove ha firmato la Maison Hermès, ndr). Londra ha il Tamigi, dove molto tempo fa passavano le navi. L'acqua è magia perché restituisce e duplica qualsiasi cosa. Di una nave, vedi il profilo reale e insieme il suo riflesso». Indica il progetto di Istanbul Modern, il nuovo museo di arte moderna e contemporanea che il suo studio sta realizzando sul Bosforo. «Sul tetto dell'edificio è prevista una superficie d'acqua che fungerà da specchio. L'acqua flirta costantemente con la luce, tra loro succede sempre qualcosa».

 

E i suoi palazzi che si trovano nel cuore delle città in tutto il mondo? «Il Beaubourg è una nave», ride, chiamando affettuosamente così il Centre Pompidou, dal nome del quartiere dove è stato costruito. Un edificio – concepito in collaborazione con Richard Rogers quando Piano viveva a Londra – che molti ritengono abbia cambiato il modo di percepire l'architettura.

Il Centre Georges Pompidou, Parigi 1977. Foto Francesca Avanzinelli, Courtesy RPBW.

 

«Era il 1971, solo tre anni dopo le proteste sociali del Sessantotto a Parigi», dice di quello che è forse il suo più famoso progetto per uno spazio pubblico. «Eravamo i bad boys, i ragazzacci che venivano da Londra con i capelli come i Beatles, ed è vero che era in atto una ribellione contro quel genere di cultura che costruiva musei – il nostro era distante anni luce dai monumenti in marmo – ma non ha cambiato le cose, è stato testimone di un cambiamento. Nella sua vita un architetto, se ha la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, può esserne testimone, parlarne, raccontarlo. Io ero a Berlino quando è crollato il Muro nel 1989, e proprio dove c'era quel Muro abbiamo costruito un palazzo. La California Academy of Sciences di San Francisco - un progetto rivoluzionario inaugurato nel 2008 con un tetto che respira, ricoperto di piante e di fiori selvatici - è stato in America il primo edificio del genere senza aria condizionata, e il 98 per cento dei materiali utilizzati erano riciclati».

The Shard, Londra 2012. Foto Michel Denancé, Courtesy RPBW.

 

Piano dice che, a Londra, lo Shard è un edificio che testimonia il bisogno di intensificare la vita nella City. «Ha a che fare con la connettività perché si eleva sopra la stazione di London Bridge che, grazie ai mezzi pubblici, avvicina le persone», spiega tracciando sinergie tra questo e uno dei suoi ultimi progetti, un edificio di 18 piani e una piazza con negozi, ristoranti e spazi di intrattenimento che saranno il cuore del piano di rigenerazione di Paddington Square (dovrebbe essere completato nel 2022).

Paddington Square, Londra 2022. Courtesy Grain London, Sellar/RPBW.

 

«Porterà nuova intensità in un'area dove si viene per lavorare, incontrarsi e stare insieme». Spiega che «è un complesso stratificato, perché le città sono più belle se testimoniano momenti diversi, se ci sono plurimi livelli che diventano parte della stessa storia. Questo edificio è in cristallo. È molto leggero ed è progettato per essere luminoso sia all'interno sia all'esterno. Ha una struttura che cerca di volare, perché volevamo che il piano terra fosse la continuazione della città. È diverso dallo Shard, ma non nella logica. E non ha parcheggi: oggi le città devono accettare di non avere auto, dobbiamo incentivare il trasporto pubblico perché è il futuro, e questa è una piccola rivoluzione».

La sala riunioni dello studio di Piano a Genova. Foto Stefan Giftthaler.

 

Da una veloce ricognizione dell'ufficio genovese si capisce che questi progetti occupano tutta la giornata di Renzo Piano. Pile di disegni, equazioni e fotografie fissate alle pareti. Modelli e progetti sui tavoli, accanto a file di matite ben appuntite. Schizzi di pensieri e idee disseminati ovunque su post-it fluorescenti, e in un angolo un rotolo di scotch che Piano ha dichiarato suo scrivendoci sopra “Renzo” con un pennarello nero. Raccontano che cosa sta dietro a ciascun edificio, ma all'architetto raccontare una storia non basta. «Serve un'ulteriore dimensione. Prendi un buon film: puoi avere una buona tra-ma, ma se nel linguaggio non aggiungi suspense o leggerezza, non funziona. L'architettura parla anche di illusioni. Lo stesso vale per la musica o per un libro: non ci metti tutto, lasci spazio per l'immaginazione. Ne hai bisogno perché i cambiamenti devono essere celebrati e costruiti attraverso qualcosa che tocchi profondamente gli esseri umani».

Il laboratorio.Foto Stefan Giftthaler.

 

Forse anche per questo considera i suoi edifici come dei figli. Si rifiuta di scegliere il preferito. «Ne ho accennato in Atlantide – un libro scritto insieme a mio figlio Carlo, in cui facciamo un viaggio metaforico alla ricerca di Atlantide –, perché queste architetture rappresentano una ricerca costante del bello che è sempre irraggiungibile. Una bellezza come la intendevano gli antichi greci, kalós, qualcosa di buono e di nobile. Ma, per me, gli edifici sono come dei bambini, vuoi che tutti siano felici. Alcuni hanno una bella vita, altri no, e allora soffri. Grazie al cielo, la maggioranza dei miei l'ha avuta, a volte anche intensa, ma una vita sociale è un bene perché il punto è costruire luoghi per le persone. In fon-do, la prima cosa di cui hai bisogno per essere davvero felice è sentirti amato, anche se ci può volere del tempo perché succeda».

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