C’è il suo ghigno a colori: ridacchia guardando Puffetta, mentre Craxi, Andreotti e Forlani osservano contriti, sguardo funereo. I pretori hanno appena “spento” le reti Fininvest: saranno riaccese dall’amico Bettino, all’epoca presidente del consiglio, dopo la protesta delle famiglie, orfane dei cartoni animati ai quali affidare i loro figli. Poi c’è il suo sorriso soddisfatto, indossato per festeggiare lo scippo di Mike Bongiorno alla Rai. E ancora il ghigno mentre scala un grattacielo per piazzare le sue antenne tv o mentre si avventa sulle casse della Standa, traboccanti di gettoni d’oro.

È una rassegna iconica quella che si aprirà nella pancia dell’hotel Enterprise a Milano, il 17 settembre. Una collezione di faccioni suadenti e sorridenti diversi e tutti uguali, colorati e tirati a lucido: si chiama Piano B ed è una mostra immersiva su Silvio Berlusconi. Non il politico, autore di decine di leggi ad personam e centinaia di altre decisioni controverse; di certo non il pluri imputato, alla fine condannato in via definitiva per frode fiscale: disegni proiettati alle pareti, musiche avvolgenti ed entusiastiche voci narranti raccontano quello che è successo prima della discesa in campo e dunque soltanto il Berlusconi imprenditore. E neanche tutto: c’è solo la parte luccicante, quella della scalata, dal primo terreno comprato in via Alciati alle Coppe dei Campioni vinte col Milan. Sarà che non ci sono le foto originali dell’epoca, sostituite da disegni troppo colorati, oppure che la voce dell’ex cavaliere si sente pochissimo, rimpiazzata da quella più anonima di una narratore estasiato, ma alla fine la mostra non è neanche troppo divertente: mancano gli eccessi ridanciani tipici dei prodotti creati per celebrare l’uomo di Arcore.

Nella mostra su Berlusconi imprenditore ci sono le luci, ma brillano molto solo perché mancano le ombre. Non ci sono le registrazioni in cui l’ex premier diceva che negli uffici pubblici si girava “con l’assegno in bocca”; non ci sono le rotte di Linate spostate per poter edificare Milano 2; non c’è la domanda fondamentale, quella che a suo tempo era il cuore di un famoso articolo di Giorgio Bocca e divenne l’incipit di un libro di Marco Travaglio: cavaliere, dove ha preso i soldi? “Se uno guarda tutta la storia di Berlusconi, dalla fine degli anni ’50 al 1993, c’è un fil rouge che poi porta alla discesa in campo in modo molto evidente”, dice Edoardo Scarpellini, l’organizzatore della mostra. La domanda viene quasi spontanea: quel fil rouge è per caso rappresentato da Cosa nostra, che per alcuni pubblici ministeri è presente sia sullo sfondo dell’esperienza imprenditoriale di Berlusconi che poi in quella politica? “Io non ho le competenze per saperlo, non sono un procuratore e questo non era il nostro obiettivo: questa è un’indagine storica e sociologica”, risponde l’ideatore di Piano B.

Amministratore delegato del gruppo MilanoCard, che ha lanciato la prima carta turistica per il capoluogo lombardo, Scarpellini ha alle spalle esperienze nella gestione dei luoghi culturali milanesi, come la cripta di San Sepolcro, e l’organizzazione di mostre d’alto livello come quelle di Leonardo e Marina Abramovic. In passato ha venduto i biglietti dell’Expo e organizzato proiezioni volanti sui tetti di Milano, in collaborazione con la berlusconiana Medusa: come gli è venuto in mente, dunque, di mettere in scena questa fiera iconica su Berlusconi? “Io sono un imprenditore e questo è business. Berlusconi è ancora un brand commerciale che funziona. Anzi: è il brand commerciale“, dice lui, spiegando di essere rimasto folgorato già in tenera età: “Avevo 7 o 8 anni e a Milano, in corso Matteotti, c’era il Milan store: mi ricordo questa sua foto, mi colpì questa immagine magnifica, col suo sorriso, in mezzo alle coppe”. Appare un po’ meno entusiasta il curatore della mostra, il giornalista Giuseppe Frangi, già direttore del mensile non profit Vita, che mette subito le mani avanti: “Io faccio parte dell’Italia che ha sempre guardato Berlusconi quasi con repulsione”. E allora perché questo lavoro? “Volevo provare a raccontarlo con l’occhio di chi in lui ha sempre visto un sogno“. Ma un sogno, per essere tale, ha bisogno di una dimensione onirica: non può essere disturbato dalla realtà.

Sostengono gli organizzatori che la mostra è costata solo 80mila euro e che è stata allestita senza alcun contatto o legame col gruppo di Arcore. “Abbiamo volutamente lavorato fuori da ogni condizionamento“. Ecco perché non ci sono foto originali dell’epoca, neanche quelle del giovane Berlusconi col capello lungo sul collo e la pistola sulla scrivania nella sede dell’Edilnord. E a proposito di Berlusconi: che ne pensa lui di questa mostra dedicata alla sua epopea? “Gli abbiamo mandato un’anteprima che mi auguro che sia stata vista – dice Scarpellini – ma non abbiamo avuto alcuna risposta“. È molto probabile, però, che a villa San Martino l’anteprima sia stata apprezzata. A parte un’intervista a Vittorio Sgarbi, per un’ora e mezza sulle pareti si susseguono questi disegni dell’ex cavaliere che fa cose: regala rose alle commesse della Standa, agita un cartello con scritto “Non è la Rai” e “Mai dire gol”, mostra un mazzo di carte da poker con le facce di Raffaella Carrà e Raimondo Vianello. Tutto mentre una voce suadente ne racconta la scalata: da Milano 2, che per gli organizzatori è un bosco verticale prima del Bosco verticale, alla tv commerciale, fino alla grande distribuzione e ai successi calcistici rossoneri. “L’impresa Berlusconi – sostiene Scarpellini- è stata presente nella vita di tutti noi e ci ha fatto diventare quello che siamo oggi, nel bene e nel male”.

Di male, però, in Piano B c’è poco, anzi nulla. In questo senso è una mostra elusiva: elimina ogni elemento che rischia di sporcare la narrazione positiva del Berlusconi imprenditore. Un esempio? Si tessono le lodi dell’universo Fininvest, capace di obbligare persino la Rai a rinnovarsi nel campo della pubblicità, ma si tace sul fatto che Publitalia, la concessionaria di Arcore, è una creatura di Marcello Dell’Utri, il braccio destro del capo, quello condannato per concorso esterno a Cosa nostra. Nell’anteprima visionata dalla stampa, non si fa menzione neanche del braccio sinistro, Cesare Previti, conosciuto già ai tempi dell’acquisizione di villa San Martino. Ma non compare neanche Vittorio Mangano, il boss della mafia che fu fattore nella tenuta di Arcore, ai tempi in cui il suo proprietario costruiva Milano 2, cioè “mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno“, per citare sempre il celebre articolo di Bocca. Scarpellini concede: “Giustamente si parla delle indagini, del Bunga bunga e di tutto il resto ma la domanda che ci poniamo noi è un’altra: nella società italiana ha inciso di più il Bunga bunga o Canale 5?”. E in effetti viene da pensare che pure Bocca a un certo punto lavorò per le reti del Biscione.

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