E alla fine, come era stato ampiamente previsto, il famoso ddl Zan, la legge contro l’omofobia tanto voluta dal Pd va in soffitta, se non in pensione. Ultimo atto ieri, quando la conferenza dei capigruppo del Senato ha votato all’unanimità un calendario che non prevede l’esame e il voto del testo prima della pausa estiva. E’ vero che il capogruppo di Italia Viva Davide Faraone ha tentato una mossa ad uso propagandistico, proponendo un vertice per cercare un accordo in extremis e votare la legge in un batter d’ali. Ma lo ha fatto sapendo di gettare un sasso in uno stagno che non poteva restituire nulla, tranne le urla di tutti i presenti. Indignati di questo tentativo da parte di chi «non ha rispettato i patti e dopo aver votato la legge alla Camera, ha presentato emendamenti al Senato facendo il gioco delle destre», per dirla con i dem inferociti.

Fatto sta che il tentativo di approvare una legge di civiltà è andato a buca e sarà arduo riannodare i fili del dialogo in settembre in piena campagna per le amministrative. Tentativo fallito per colpa dell’uno e dell’altro, ovvero del Pd che non ha voluto trattare alcuna modifica, se pur spaccato al suo interno, per paura di venire «fregato» di nuovo poi alla Camera; di Renzi, che ha giocato sulle divisioni nella maggioranza per provare a fare il king maker di un accordo impossibile; di Salvini, che dietro la volontà di mediare celava quella di affossare tutto. Nel frattempo continuano gli atti di violenza omofoba nel paese e chi sarebbe pagato per fermarli, varando pene e dure sanzioni di legge, è inerte e gioca a scaricabarile.