Controlli e liti

Accertamento, termini senza limiti se la dichiarazione chiude a credito

Le sentenze 21765 e 21766 della Sezioni Unite fanno cadere le barriere temporali in caso di rimborso

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Guai a vantare un credito nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Traspare infatti una sorta di accanimento giurisprudenziale (di legittimità) nei riguardi delle situazioni nelle quali il contribuente espone un credito nella dichiarazione tributaria.

Non possono che essere queste le considerazioni che emergono dagli ultimi orientamenti della Corte di Cassazione in materia di crediti d’imposta. Si ricorderanno i precedenti relativi alla compensazione dei medesimi crediti, secondo i quali l’irregolare compensazione viene qualificata «sempre e comunque» come credito non spettante. Sono inoltre di pochi giorni fa (Cassazione a Sezioni Unite 21765/6) le pronunce secondo le quali l’Amministrazione finanziaria può contestare il rimborso dell’eccedenza detraibile ai fini Iva anche dopo lo spirare dei termini di decadenza per l’accertamento.

La portata delle ultime due pronunce va ben oltre la vicenda del rimborso del credito Iva. Infatti, in vari passaggi viene affermato che «gli effetti preclusivi della decadenza dell’accertamento riguardano le sole imposte dovute». In sostanza, la Cassazione ribadisce il concetto (già fatto proprio con pronuncia a Sezioni Unite 5069/2016) che i termini decadenziali varrebbero soltanto per le dichiarazioni che espongono un debito d’imposta, e non per gli atti impositivi con i quali l’Amministrazione contesta il credito esposto nella dichiarazione da parte del contribuente.

Si nota che nelle sentenze della scorsa settimana la Corte sembra affrancarsi dal principio «quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum», in forza del quale ciò che è prescrittibile per l’azione non lo è per l’eccezione. Infatti, in passato la Cassazione mutuava il suo ragionamento (fatto proprio anche per stabilire che la cristallizzazione dei condoni operava soltanto per le dichiarazioni che chiudevano a debito) dall’articolo 1442 del Codice civile, trascurando il fatto che questa regola non appare praticabile nello specifico contesto dell’obbligazione tributaria. Allo stesso modo non veniva considerata l’eloquente e radicale diversità dell’istituto della decadenza rispetto a quello della prescrizione.

Ad ogni modo, tornando alle sentenze 21765/6 della scorsa settimana, occorre rilevare l’ampia “latitudine” dei principi fissati dalle stesse che, evidentemente, riguardano tutte le ipotesi in cui un credito viene indicato in dichiarazione e successivamente viene anche fatto oggetto di compensazione o di (semplice) riporto nelle annualità successive. Ciò in una sorta di perfetto parallelismo con la nota pronuncia, sempre a sezioni Unite, n. 8500/2021 relativa all’obbligo (sostanzialmente) sine die di conservazione delle scritture contabili.

Va comunque segnalato che tra le righe del passaggio contenuto nelle pronunce 21765/6 relativo alla «sottostima dell’imposta dovuta che in realtà era maggiore e che è stata evasa» si può cogliere - forse - un parziale temperamento al potere di fatto illimitato di rettificare l’eccedenza di credito. Verosimilmente la Corte di cassazione quando menziona la «sottostima dell’imposta dovuta» – che deve invece soggiacere ai termini ordinari decadenziali – fa riferimento alla contestazione degli elementi attivi (ricavi e/o volume d’affari) dell’obbligazione tributaria.

In sostanza, la suprema Corte sembra affermare il principio secondo cui la verifica della spettanza del credito tributario non può mai costituire occasione per mettere in discussione oltre i termini decadenziali la “fedeltà” delle operazioni attive.

Resta il fatto che a parere di chi scrive il termine decadenziale posto dagli articoli 43 del Dpr 600/1973 e 57 del Dpr 633/1972 estingue irreversibilmente il potere di accertamento dell’Amministrazione, indifferentemente che si tratti di dichiarazioni chiuse a credito o di dichiarazioni che espongono un debito.

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