nel mantovano
Giuseppe De Donno, dai malati salvati agli ultimi giorni bui: «Viveva per aiutare gli altri»
Il dottor De Donno, ex primario a Mantova, trovato morto nella sua casa. Aveva promosso la cura anti-Covid col plasma. La Procura apre un’inchiesta sulla sua morte
Sono rimaste le luci accese. Le bici dei ragazzi slegate. Le scarpe buttate lì, come fanno gli adolescenti. Il silenzio assoluto intorno alla villetta alle porte di Mantova dove martedì pomeriggio Giuseppe De Donno, 54 anni, si è impiccato. La famiglia è partita subito. La moglie Laura e i due figli Edoardo, 16 anni, e Martina, 21, che a Curtatone era «assessore alla gentilezza», rifugiati dai nonni. In casa neanche due righe per capire come uno dei primi medici eroi della lotta al Covid, dopo aver salvato centinaia di vite, abbia deciso di fare a meno della sua.
Il plasma iperimmune
Al Carlo Poma di Mantova, dove è stato primario di Pneumologia, il vuoto lasciato dalla sua figura. Eppure molti dei suoi amici più stretti si chiedono se sia un sentimento vero. O se quella sua clamorosa esposizione mediatica non avesse suscitato l’invidia del camice accanto. Di certo in ospedale non ci poteva, oltre che voleva, più stare. Da quando la sua crociata per l’utilizzo del plasma iperimmune per curare i pazienti Covid era passata di moda, con la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti alla ricerca.
Il ritorno alla normalità
Lo stress monta: si torna a vedere nero scuro. «I mesi in prima linea gli avevano trasmesso adrenalina — racconta il direttore sanitario dell’ospedale Raffaello Stradoni —. L’avevano rimesso sulla barricata, a salvare vite umane. Il ritorno alla normalità l’aveva fatto ripiombare in quell’antica sofferenza. Qualcosa da cui stava provando a curarsi». Ieri le piazze no-vax lo hanno salutato come un eroe incompreso, ma lui, che si era vaccinato, dai social era scappato proprio quando aveva capito che i suoi ultras erano no-vax accaniti. Non il suo mondo.
Il «La macchina del fango»
L’inchiesta della procura di Mantova
Ieri gli interrogatori: la procura di Mantova ha aperto un’inchiesta, sequestrando pc e cellulari del medico per capire se possano esserci responsabilità di terzi. Domani, la camera ardente, a Curtatone, dove De Donno in passato aveva fatto anche politica in una lista civica. «Il suo è un gesto che non può essere figlio solo di un fallimento professionale», dice Ivan Papazzoni, un amico curato da De Donno durante la prima ondata. «Trovo pesanti gli attacchi in Rete, prima ti mitizzano poi non rispettano nemmeno la morte», attacca Stefano Rossi, candidato a sindaco di Mantova nel 2020, che lo conosceva bene. Perché sui social è il solito ring di congetture. Attaccano la sua vita personale. «Merita il silenzio e il rispetto per il suo grande lavoro: lo conosco da 20 anni, viveva per gli altri», spiega il sindaco di Curtatone Carlo Bottani. Lui voleva solo spingere su una cura alternativa. Gli avevano fatto capire che non c’era futuro. Scavandogli un ulteriore vuoto intorno. E lui era già stanco del resto.
Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui.
I numeri a cui rivolgersi per chiedere aiuto
In Italia ci sono vari modi per chiedere aiuto se ci si trova a fare i conti con pensieri di suicidio. Per parlare con operatori e volontari che offrono supporto psicologico in forma anonima ci si può rivolgere al 112, il numero unico per le emergenze europeo. Sono attive anche diverse associazioni, ad esempio Telefono Amico (raggiungibile al 199 284284 dalle 10 alle 24, oppure scrivendo su WhatsApp al 324 0117252 dalle 18 alle 21), Progetto InOltre (al numero 800 334343) o la fondazione De Leo Fund Onlus (800 168678). Bambini e adolescenti possono contattare il Telefono Azzurro chiamando il 19696 (24 ore su 24) o scrivendo in chat sul sito (dalle 16 alle 20).