Perché il Green Pass per entrare nelle RSA non basta?

Mentre quasi tutto riapre, le RSA gestiscono le visite dei parenti col contagocce, anche con Green Pass e tampone: un problema di mancanza di personale, di organizzazione ma anche di gestione poco trasparente e troppo discrezionale. Lo denunciano un comitato nato per far valere i diritti dei familiari, ma anche la politica

Gli anziani nelle RSA sono ancora soli. Abbiamo visto gli spot sulle stanze degli abbracci (belle, ma poche), vari assessori in tv ripresi tra gli ospiti (a maggio, poi più nulla), il papa che nella Giornata dedicata agli anziani ci pungola nell’omelia: «Ho fatto una visita ai nonni? Ho dedicato loro un po’ di tempo?». Parole e immagini ad effetto, ma la realtà è un’altra. Mentre discutiamo di Green Pass per andare al ristorante e in discoteca, nelle RSA si entra col contagocce, anche muniti di Green Pass. E ci sono nonni che piangono tutto il giorno, che si lasciano andare, o che scontano con 10 giorni di quarantena l’uscita a pranzo con la figlia o per comprare gli occhiali. E c’è anche chi è morto dopo che ai propri cari è stato ridotto l’accesso ai minimi termini. Un paradosso di cui si parla poco. 

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La circolare che ha riaperto le RSA sta per scadere

Eppure c’è la circolare dell’8 maggio del 2021 del ministro della Salute Roberto Speranza che raccomanda alle strutture di assicurare le visite ai parenti «poiché – dice il Ministero – l’isolamento sociale e la solitudine rappresentano motivo di sofferenza e importanti fattori di rischio nella popolazione anziana». Ma questa circolare, in realtà (oltre tutto scade il 30 luglio e, se non viene rinnovata, rischia di rinchiudere di nuovo gli anziani), è disattesa dal 70 per cento delle strutture

Il 70 per cento delle RSA non rispetta la circolare

Lo denuncia un’interrogazione parlamentare del 14 luglio, che ha raccolto le segnalazioni su tutto il territorio nazionale del comitato Orsan – OPEN RSA NOW, gruppo spontaneo nato ad aprile dall’iniziativa di Dario Francolino, che ne è il presidente. Il comitato si è costituito per cercare di far valere i diritti dei parenti delle persone ricoverate nelle strutture, e ha finito per gettare un cono di luce su una zona d’ombra che si è rivelata una specie di terra di nessuno. Già: «Le RSA sono vere e proprie zone franche, lasciate libere di operare nella totale discrezionalità dei gestori. Ci risulta che addirittura sette su dieci non rispettino la circolare del ministero». Non usa mezze misure Sandra Zampa, consulente del ministro della Sanità per gli anziani e responsabile della Salute del Pd, che aggiunge: «È inquietante che le Rsa vengano lasciate operare nell’autonomia più totale, con i gestori che interpretano in modo restrittivo la normativa sulle aperture. Norma che, ne sono certa, alla sua scadenza verrà rinnovata e magari rafforzata proprio per togliere spazio alla discrezionalità. Sempre che venga rispettata. Poiché infatti all’inizio non aveva funzionato, era stata accompagnata da linee guida emanate dalla Conferenza Stato-Regioni che però, come segnalano i familiari, le Regioni stesse non rispettano. Un altro paradosso, insomma: le Regioni che danno istruzioni a se stesse e poi non le seguono. A questo punto – segnala Sandra Zampa – sarebbe necessario che il Governo scrivesse una lettera di sensibilizzazione alle Regioni, cioè assessori e presidenti, per denunciare le strutture che non ottemperano alle regole». La solita diatriba tra Governo centrale e Regioni che si gioca ancora una volta sulla pelle delle persone, e che in un macabro flashback ci riporta all’indietro, all’inizio della pandemia. 

Cosa succede nelle RSA?

La data della scadenza della circolare comunque si avvicina e i parenti si chiedono se potranno vedere ancora i propri cari che, comunque, al momento, possono andare a trovare una volta in media ogni 10-15 giorni, per massimo 20 minuti e mai nel weekend, e sempre alla presenza di un operatore che vigili sul rispetto delle regole (come se i figli o i nipoti volessero attentare alla sicurezza dei propri anziani). Insomma, mentre il Green Pass diventa il passaporto per quasi tutti i luoghi di socialità, non basta per accedere alle RSA, neanche se i parenti ne sono in possesso e neanche se gli ospiti sono tutti vaccinati. Perché? Cosa sta succedendo? Ce lo spiega Dario Francolino, travolto in poche settimane da centinaia di segnalazioni: è grazie al comitato che il Ministero ha emanato la famosa circolare di maggio, facendo aprire le RSA. «In quell’occasione abbiamo redatto un rapporto, inviato a tutte le Regioni, in base al quale almeno 204 RSA in Italia risultavano inadempienti, di cui 95 in Lombardia. L’unica regione ad aver risposto in modo collaborativo è stato il Piemonte, che ha inviato una circolare alle Asl assumendosi la responsabilità del rispetto delle aperture. La Lombardia invece ha smentito tutto. Eppure basterebbe poco per capire come funzionano le RSA perché dovrebbero essere in carico alle Regioni, cioè essere accreditate. Ma la verità è che non si sa neanche quante siano in Italia». vi

Troppi i poteri dei direttori delle RSA

Sembrerebbe proprio che le RSA siano parte di un altro “mondo di mezzo” dove i gestori ne amministrano più di due o tre contemporaneamente, e così il rispetto delle norme si diluisce man mano che la catena di comando scende. «In fondo alla catena ci siamo noi parenti che il minimo di visite lo vediamo garantito, quindi – ci viene detto – di cosa potremmo mai lamentarci? Eppure, la nostra pagina Facebook è seguita da più di 5mila persone che ogni giorno scrivono, in una sorta di censimento di disfunzioni e mancato rispetto delle norme. E così constatiamo che, mentre litighiamo sul Green Pass per i ristoranti, per entrare in una RSA non basta essere vaccinati e non basta che tutti gli ospiti lo siano. In Lombardia per esempio occorre il tampone. Benissimo. Grazie alle nostre pressioni, la Regione ha creato una piattaforma su cui ci si può prenotare per avere il tampone gratuitamente prima di andare in visita al parente». 

In molte RSA il problema è organizzativo e di risorse

Nelle altre regioni ognuno deve farlo pagandolo di tasca propria ma – dice Sandra Zampa – «il generale Figliuolo ha annunciato tamponi a prezzo calmierato». Chissà se sarà sufficiente: «Non basterà perché nel frattempo si è scoperto che si tratta quasi sempre di un problema organizzativo: non c’è personale a sufficienza per vigilare e accompagnare gli ospiti nelle aree all’aperto, quelle destinate alle visite in modo che i parenti non entrino. Scrupoli che possiamo capire, ma allora ci chiediamo perché in altri casi non valgano: le linee guida delle Regioni prevedono che i nuovi ospiti delle strutture possano essere inseriti direttamente nell’area di degenza senza quarantena, anche quando il ciclo vaccinale non sia stato completato, se la percentuale di vaccinati in struttura è superiore a una determinata quota. Scelta, questa, che agevola le Rsa, facilitando nuovi ricoveri (quindi fatturato). Però poi succede che un parente (vaccinato con doppia dose) di un ospite vaccinato anch’esso con doppia dose, non possa entrare nell’area di degenza a meno che non venga concesso dal direttore sanitario sulla base di non meglio definite valutazioni sul benessere psico-fisico dell’ospite. Cioè non è vietato, ma di fatto neanche permesso perché le linee guida sono molto vaghe in merito». Le regole insomma valgono in alcuni casi, ma non in altri.

Occorrono sopralluoghi nelle RSA

E quando la discrezionalità è ampia, i punti di riferimento si perdono e sul rispetto delle norme cala un’ombra. «In molti casi i gestori vogliono evitare che i parenti esercitino un controllo sulle strutture» denuncia la consulente del Ministro Speranza. «Sicuramente tutto ciò non è rassicurante: le Regioni a cui sono state segnalate strutture inadempienti dovrebbero effettuare sopralluoghi e poi ritirare gli accreditamenti, a patto che ci siano». Molte RSA infatti non sono neanche censite, quindi neppure accreditate. «A tutt’oggi non esiste un censimento nazionale. Stimiamo che le strutture siano 7mila in tutta Italia ma il ministero stesso dichiara di non sapere il numero esatto» dice Dario Francolino. «Se davvero fossero tutte accreditate basterebbe controllare gli accreditamenti, ma poiché molte non lo sono, tutto si complica. Accanto a strutture eccellenti, ce ne sono tante fatiscenti di cui sappiamo poco, soprattuto al Sud, da quanto ci risulta». Per avere un quadro nazionale è stata creata la commissione Paglia che prima di tutto, però, deve censire i centri. «Per questo i Nas stanno iniziando controlli a tappeto in tutta Italia» dice Sandra Zampa. «In una seconda fase, la commissione deve studiare soluzioni innovative per la non autosufficienza diverse dalle RSA, come il cohousing, per esempio, o comunque una serie di progetti che consentano di tenere la persona nella propria casa, assistita da figure a domicilio». 

Le richieste dei familiari

Nel frattempo, i familiari con gli anziani ricoverati non soffrono in silenzio. «Vogliamo sottolineare che gli unici motivi che possono bloccare le visite sono cause epidemiologiche (e gli ospiti delle RSA sono vaccinati al 98 per cento)» prosegue Francolino. «Chiediamo quindi di ridurre la discrezionalità dei Direttori Sanitari, che dovrebbero valutare i pazienti caso per caso, decidendo le visite anche in funzione della gravità della malattia. Se ci sono eccezioni, vanno motivate per iscritto e anche l’eventuale diniego. È fondamentale poi dare più tempo alle persone e la possibilità di stare con gli anziani senza la vigilanza interna: 20 minuti alla settimana sono troppo pochi. Basta poi con la quarantena anche dopo le uscite per motivi medici: aggiungere isolamento all’isolamento è eccessivo, oltre che disumano».

Tutti gli ospiti devono essere considerati uguali

I familiari si offrono anche di aiutare il personale a gestire la sicurezza. «La verità è che, anche se abbiamo sottoscritto un patto di corresponsabilità e paghiamo rette fino a 3 – 4 mila euro al mese, non abbiamo alcuna voce in capitolo all’interno degli organismi delle strutture» dice Francolino. «Noi parenti chiediamo solo di poter dialogare con i gestori e di vedere di più i nostri cari. Chiediamo che siano considerati tutti uguali, non “più” o “meno” gravi, perché tutti hanno bisogno della propria famiglia vicino. Non vogliamo fare alcuna battaglia ma temiamo solo che a ogni nuova variante, per la paura che succeda di nuovo quello che è capitato, si richiuda tutto». 

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