Becciu, in Vaticano via al processo per lo scandalo del palazzo di Londra: «Obbediente al Papa, sono sereno»

di Gian Guido Vecchi

I capi d’accusa per i quali il cardinale va a processo sono peculato, abuso d’ufficio e induzione di un testimone a dichiarare il falso. Udienza rinviata al 5 ottobre

desc img

CITTÀ DEL VATICANO — Entra in aula alle 9.17 quando gli avvocati sono già arrivati e stanno scambiando quattro chiacchiere in attesa che inizi l’udienza. Per un attimo cala il silenzio. Il cardinale Angelo Becciu, in clergyman sul quale spicca la croce pettorale, si siede in ultima fila con la mascherina e lo sguardo tranquillo. E ci tiene a mostrarlo, tanto da girarsi verso i giornalisti e osservare: «Ma voi siete stati, qualche volta, all’udienza di un processo? Sì? Io no…». In effetti, è la prima volta nella storia che un cardinale — seppure nel frattempo privato dal Papa di tutti i «diritti e le prerogative del cardinalato» — , finisce sotto processo davanti a giudici laici, nel Tribunale dello Stato vaticano. Alla parete è appesa la foto incorniciata del Papa in quanto Capo dello Stato ma il processo è secolare come radicalmente secolarizzato è il panorama desolante descritto nelle oltre cinquecento pagine dell’atto di accusa, «un marcio sistema predatorio e lucrativo» che attingeva ai soldi della Segreteria di Stato destinati alle attività religiose e benefiche del Papa e della Chiesa, il denaro per i poveri donati dai fedeli all’Obolo di San Pietro dispersi nel gioco di specchi di società finanziarie e speculazioni.

Sarà un processo lungo: la prima udienza, tra eccezioni e schermaglie procedurali, dura sette ore, e dopo un’ora e venti di camera di consiglio il presidente del Tribunale vaticano e del collegio giudicante, Giuseppe Pignatone, informa che il dibattimento è sospeso per dare tempo alle difese di ottenere tutti gli atti («l’accusa ha raccolto elementi per quasi due anni e la difesa deve preparare le sue richieste istruttorie in otto giorni senza nemmeno poter disporre di tutti gli atti», osservava un legale) e fissato la prossima udienza al 5 ottobre. Al centro del processo, la vicenda si sviluppa negli anni in cui Becciu era Sostituto della Segreteria di Stato (dal 2011 al 2018), con il potere di disporre dei fondi riservati, e ha al centro il palazzo londinese di Sloane Avenue.

L’aula non è quella del Tribunale ma la Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, come in un maxiprocesso, perché lo spazio nel Palazzo di piazza Santa Marta era troppo piccolo, considerato il distanziamento da pandemia e il numero dei rinviati a giudizio, con relativi avvocati: dieci persone, laici ed ecclesiastici, e accuse gravissime, truffa, estorsione, appropriazione indebita, riciclaggio e così via. Degli imputati ci sono solo il cardinale e monsignor Mauro Carlino, suo ex segretario personale. Becciu, descritto dai pm come «autore di gravissime iniziative di interferenza con le indagini», è accusato di peculato, abuso d’ufficio anche in concorso e «subornazione», e cioè di avere intimidito un testimone: monsignor Alberto Perlasca, il grande accusatore, che non è stato rinviato a giudizio.

È stato Francesco, con un Motu Proprio del 30 aprile, a modificare la legge sull’ordinamento giudiziario che fino a quel momento disponeva che un porporato potesse essere giudicato solo da altri cardinali. Ora è possibile «previo assenso del Sommo Pontefice», e Francesco ha dato il via libera. Alla fine, il cardinale dice ai giornalisti: «Sono obbediente al Papa che mi ha rinviato a giudizio. È importante essere qui. Sono sempre stato obbediente al Papa, mi ha incaricato di tante missioni nella mia vita, ha voluto che venissi a processo e sto venendo al processo. Sono sereno, mi sento tranquillo in coscienza, ho fiducia che i giudici sapranno bene vedere i fatti e la mia grande speranza è certezza che riconoscano la mia innocenza». Poi annuncia «con grande dispiacere e dolore» di aver dato mandato ai suoi avvocati «di denunciare per calunnia monsignor Alberto Perlasca e la signora Francesca Immacolata Chaouqui per le gravi falsità che hanno detto su di me e che sono apparse nelle carte processuali».

Al termine dell’udienza, i legali del cardinale hanno diffuso una nota in cui si dice che «rinnova la propria fiducia nei confronti del Tribunale, Giudice terzo dei fatti ipotizzati soltanto dal Promotore di Giustizia, finora senza alcun confronto con le difese e nell’ottica di presunzione di innocenza» e «attende con serenità il prosieguo del processo e la dimostrazione delle numerose prove e testimoni indicati che dimostreranno la sua innocenza». Oltre a Becciu, l’ufficio del Promotore di giustizia, cioè i pm vaticani guidati da Gian Pietro Milano, aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di René Brülhart, ai tempi presidente dell’Autorità finanziaria vaticana ( accusato di abuso d’ufficio), l’allora direttore dell’Aif Tommaso Di Ruzza (peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio), monsignor Mauro Carlino, ex segretario personale di Becciu (estorsione e abuso di ufficio), Enrico Crasso, per decenni gestore degli investimenti della Segreteria di Stato, (peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata), Cecilia Marogna (peculato), il finanziere Raffaele Mincione (peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio), l’avvocato Nicola Squillace (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio), il «minutante» della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio) e il finanziere Gianluigi Torzi (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio).

La prima giornata si è giocata tutta intorno alle schermaglie tra le difese e l’accusa. Le obiezioni principali: che le difese non avessero ricevuto tutti gli atti - 28 mila pagine - la mancanza di tempo per esaminarli, e le contestazioni alle procedure del tribunale vaticano in nome del «giusto processo». In particolare, sono stati contestati i 4 «rescipta» di Papa Francesco nel corso nell’inchiesta: l’avvocato Panella, difensore di Enrico Crasso, ha sostenuto che i «rescripta» mostrano che si tratta di un «tribunale speciale» che «vanifica la certezza diritto». Molto spesso i legali hanno fatto riferimento alla giurisprudenza italiana, considerando ad esempio i «rescripta» del Papa come un «atto amministrativo». Il Promotore di giustizia Milano ha replicato che nell’ordinamento vaticano (dove il Papa è Capo dello Stato e Sovrano di una monarchia assoluta e «ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario») un «rescriptum» è un «atto legislativo e giurisdizionale» e va riferito alla «suprema potestà del Papa». L’aggiunto Alessandro Diddi ha chiarito che i «rescripta» erano stati chiesti dall’accusa solo per colmare lacune tecniche (uno è stato usato perché si potessero fare intercettazioni) e osservato ironico: «Non ci possono essere dubbi su come ci siamo comportati, non abbiamo torturato nessuno». L’avvocato Paola Severino, legale di parte civile di Segreteria di Stato e Apsa, ha notato: «Il Papa è legislatore e questo si è verificato in tutti i processi in Vaticano». Al termine il Tribunale, oltre a revocare il mandato di cattura dell’anno scorso tuttora pendente su Mincione e ormai superato, si è riservato di decidere su tutte le richieste, ha stabilito un arco di nuove date per la presentazione di ulteriori richieste e memorie e per la consegna alle parti degli atti mancanti, e ha rinviato il processo alle 9,30 del 5 ottobre.

27 luglio 2021 (modifica il 27 luglio 2021 | 22:24)