Famiglia

Ex conviventi, le spese eccessive vanno restituite

I principi per «fare i conti» quando termina una relazione di fatto

di Giorgio Vaccaro

Figli, casa familiare, spese sostenute: sono gli aspetti principali su cui occorre trovare un accordo quando finisce una convivenza. Si tratta di un percorso che - a differenza di quel che accade per il matrimonio - non è regolato in modo puntuale. Tuttavia, ai partner delle convivenze sono stati estese, ormai pacificamente, molte delle facoltà previste per le coppie coniugate, anche se la relazione tra conviventi more uxorio non è regolamentata da un patto scritto.

Quella delle coppie di fatto è peraltro una realtà in crescita, alimentata anche dai partner che escono da una (fallita) esperienza matrimoniale: spesso la “progettazione” di una nuova e diversa vita passa per una convivenza.

I figli

Il mondo del diritto si interessa delle convivenze nel momento in cui i partner sono anche genitori. I figli hanno infatti il diritto, in base all’articolo 315-bis del Codice civile, di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti moralmente fino alla loro autonomia.

È in base a questo principio che, se finiscono la relazione e la convivenza tra i genitori, i rapporti economici tra gli ex (regolati da un accordo o dalla decisione del giudice) saranno guidati dall’esigenza di tutelare i figli nati dalla relazione. Così, al genitore convivente con il figlio sarà generalmente riconosciuto il diritto di abitare nella casa familiare. E a carico dell’altro genitore sarà stabilito l’obbligo di contribuire al suo mantenimento con un assegno proporzionale al reddito.

Nulla spetta invece al partner più debole in termini di assegno di mantenimento.

Gli esborsi durante la relazione

Ma la fine della relazione porta talvolta gli ex a riesaminare anche le spese sostenute dall’uno o dall’altro. Non tutte infatti si possono considerare obbligazioni naturali, vale a dire somme pagate in esecuzione del contratto sociale di assistenza nel quale si è soliti ricomprendere il vivere more uxorio.

La Cassazione ha stabilito le regole da osservare per “fare i conti economici” al termine di una convivenza di fatto. La prima è quella della irripetibilità delle spese poste in essere in favore del convivente ma solo se il loro importo risulti adeguato alle circostanze e proporzionato all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali di chi ha speso la somma.

In altre parole, se la spesa affrontata superi in termini di proporzionalità e di condizioni sociali le possibilità dell’ex partner che l’ha sostenuta, lo stesso potrà chiederne la restituzione esercitando l’azione civile che contrasta l’indebito arricchimento. Quest’ultimo ricorre se una parte si arricchisce a danno di un’altra senza una giusta causa, cioè senza che tra le parti sia presente un contratto o che si tratti di liberalità o dell’adempimento di una obbligazione naturale e se l’attribuzione di denaro o di utilità abbia superato il limite della proporzionalità e della adeguatezza alle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto.

In buona sostanza, il nostro ordinamento lascia al giudice del caso concreto l’obbligo di verificare, all’atto dell’esame di una richiesta di restituzione per indebito arricchimento esercitata da un partner contro l’ex, se le somme o le utilità attribuite all’altro nel corso della convivenza siano da considerare irripetibili, perché spese in forza del principio di solidarietà e quindi in adempimento del dovere morale e sociale dell’obbligazione naturale, o se diversamente siano da considerarsi ripetibili, in quanto esorbitanti i limiti della proporzionalità al patrimonio e alle condizioni sociali di chi le ha poste in essere.

Le indicazioni dei giudici
La costruzione della casa
Il convivente che ha versato somme usate per costruire una casa su un terreno di proprietà solo del partner, ha diritto, se finisce la convivenza, di «recuperare il danaro che ha versato» e di «essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente» per le finalità della convivenza in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento, ovvero al di sopra della soglia di proporzionalità e adeguatezza rispetto al livello di vita del conferente. Infatti «i contributi in lavoro o in natura volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa, comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner, pertanto non sono sottratti all'operatività del principio della ripetizione dell'indebito».

Cassazione, ordinanza 14732 del 7 giugno 2019

Importi di alto valore
L'importo delle operazioni effettuate da un convivente in favore dell'altro, del valore superiore alle centinaia di milioni delle vecchie lire e comunque superiore a centinaia di migliaia di euro, non può essere ricondotto all'adempimento di un dovere morale e sociale, così da rientrare nella previsione della irripetibilità prevista dall'articolo 2034 del Codice civile, «in quanto esorbitante dalle esigenze familiari e che non rispettano i minimi della proporzionalità e della adeguatezza di cui all'articolo citato». Il superamento di questo limite impone, infatti, l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento con l'obbligo della restituzione.
Cassazione, ordinanza 11303 del 12 giugno 2020

Prestazioni sproporzionate
«L'attribuzione patrimoniale, a favore del convivente more uxorio, può configurarsi come adempimento di una obbligazione naturale, se la prestazione risulta adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens». Ciò in quanto l'azione di indebito arricchimento ha come presupposto la «locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di una obbligazione naturale».
Cassazione, ordinanza 18721 dell'1 luglio 2021

La prova della donazione
Viene cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello la pronuncia che, in un giudizio di divisione del bene comune tra conviventi abbia negato il rimborso della maggior quota versata «supponendo che il maggior apporto all'acquisto fosse stato fatto a titolo di liberalità di un convivente in favore dell'altro». L'animus donandi deve infatti essere provato, a nulla valendo il richiamo a presunzioni se queste siano genericamente espresse e non si sostanzino in un «rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso».
Cassazione, ordinanza 20062 del 14 luglio 2021

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©