Il dottor Mercola e la «sporca dozzina» che produce due terzi di tutta la disinformazione no-vax

di Massimo Gaggi

Anche Robert Kennedy Jr, figlio di Bob, nella classifica delle persone che fanno circolare più falsità sui vaccini. Al di là delle ideologie, per molti, come per l’osteopata della Florida Mercola, dietro la diffusione di fake news c’è soprattutto la ricerca del profitto

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«L’appello no-vax è un appello a morire», dice Mario Draghi. Ma anche Joe Biden una settimana fa, aveva usato espressioni altrettanto crude nei confronti di chi diffonde disinformazione sulle conseguenze del coronavirus e sull’efficacia dei vaccini. Il presidente americano se l’era presa, in particolare, con le reti sociali accusate di «uccidere la gente» perché consentono alle informazioni false sul Covid e sulle cure di circolare liberamente sui loro canali.

Sotto accusa, come al solito, soprattutto Facebook che veicola attraverso le sue diverse reti, da Instagram a WhatsApp, circa i tre quarti del traffico dei social media. È un fenomeno diffuso da tempo e ben noto, ma il rallentamento della campagna vaccinale Usaproprio quando le varianti più aggressive tornano a riempire gli ospedali e a mietere vittime quasi sempre (97%) nel popolo dei non vaccinati accresce l’allarme politico e sociale per il comportamento dei disinformatori e delle reti sociali che non bloccano i loro messaggi falsi.

Sotto i riflettori soprattutto la «sporca dozzina» delle 12 persone fisiche che da sole hanno prodotto i due terzi dei contenuti falsi contro le immunizzazioni fatti circolare negli Stati Uniti. Tra essi, al secondo posto come pericolosità, anche Robert Kennedy Jr, figlio di Bob Kennedy e nipote di JFK, il presidente americano ucciso a Dallas. Ma, oltre agli ideologi del no-vax, tra i dodici ci sono anche molti personaggi che hanno tratto profitto dal loro proselitismo antiscientifico, vendendo servizi di consulenza o prodotti di presunta medicina alternativa non testati, non autorizzati, a volte addirittura nocivi.



Il New York Times racconta la storia di Joseph Mercola, un medico osteopata di 67 anni che, con oltre tre milioni di follower sulle sue pagine di Facebook in inglese spagnolo e altre lingue, guida la classifica della pericolosità sociale. Per decenni Mercola, che denuncia un patrimonio di oltre 100 milioni di dollari, ha diffuso veleni contro la medicina ufficiale propagandando e vendendo trattamenti alternativi non autorizzati e di efficacia non verificata: più volte denunciato e multato dagli enti di controllo federali, Mercola una volta ha anche patteggiato dando tre milioni di dollari di risarcimenti ai pazienti che aveva ingannato, oltre a pagare multe salate.

Tutto questo non gli ha impedito di tornare alla carica coi vaccini anti Covid: a febbraio li ha definiti una «frode medica», sostenendo che alterano il codice genetico trasformando l’organismo del vaccinato in una inarrestabile fabbrica di proteine virali. Tutto falso ma in poche ore il suo articolo è stato tradotto in varie lingue, dallo spagnolo al polacco e visto centinaia di migliaia di volte su social media (Mercola ha an che 300 mila follower su Twitter e 400 mila su YouTube) avidi di traffico.

Ma ora l’emergenza sanitaria può diventare la tomba della totale libertà e irresponsabilità per i contenuti immessi in Rete della quale il mondo dei media digitali ha goduto (a differenza del resto dell’editoria) fin dalla sua nascita grazie a una legge del 1996. Da anni si discute nell’opinione pubblica e in Congresso della opportunità di eliminare o drasticamente limitare la Section 230 di quella legge che all’alba dell’era digitale garantì totale immunità ad alcune imprese allora appena nate che, nel frattempo, sono diventati colossi onnipotenti.

Giovedì la senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar, attivissima sul fronte antitrust con le sue proposte di legge per le quali si è sempre preoccupata di costruire un consenso bipartisan, ha presentato in Senato un’altra norma in base alla quale (se approvata) piattaforme social come Facebook, Twitter e YouTube perderebbero la loro immunità qualora non impedissero la diffusione sui loro canali di informazioni false su gravi emergenze sanitarie come il Covid-19. Questione comunque delicata dal punto di vista dell’intervento del governo perché spetterebbe al ministero della Sanità stabilire quali contenuti sono falsi e pericolosi per la salute pubblica de quali no. Certo, le reti sociali dovrebbero poi, comunque, essere giudicate dai tribunali. Ma perderebbero le protezioni attuali.

25 luglio 2021 (modifica il 26 luglio 2021 | 09:15)