SANTA MARGHERITA DI PULA. Recitare è lo stemma di famiglia, una passione contagiosa, coltivata in tenera età e diventata, con il tempo, con la bravura, con le occasioni giuste, il mestiere della vita. Per Elizabeth Olsen, sorella minore delle gemelle Mary-Kate e Ashley, anch’esse attrici fin dall’infanzia, è scoccata l’ora del grande successo di pubblico. Dopo essere stata Wanda Maximoff (alias Scarlet Witch) nei blockbuster della saga degli Avengers, ha spiccato il volo nella serie Disney WandaVision dove il suo personaggio, affiancato da quello di Visione (Paul Bettany), delizioso maritino androide dotato di speciali superpoteri, guadagna il centro della scena in un crescendo di grazia stralunata, citazioni di classici della tv Usa, ironie sull’immagine americana della donna Anni Cinquanta. Ospite d’onore del «Filming Italy Sardegna Festival» diretto da Tiziana Rocca, Olsen risponde pensosa alle domande, arricciando spesso il nasino all’insù e rivelando consapevolezze ben più solide dell’aspetto da bambolina di porcellana: «Per le donne, nel mondo del cinema, tante cose stanno cambiando. Sicuramente la loro voce è molto più ascoltata rispetto al passato, adesso quello che manca è una presenza più forte dietro la macchina da presa». Che cosa le ha insegnato l’esperienza di «WandaVision»?
«Credo sia il punto di svolta della mia carriera, soprattutto per due motivi. La prima è che la serie è stata vista da un sacco di gente, l’altra è legata al fatto che, per la prima volta, ho messo in gioco tutte le mie capacità, esplorando il lato comico, ma anche ballando e muovendomi in un certo modo. Mi sono sentita libera e fortunata, come in un parco giochi». Secondo lei perchè «WandaVision» è piaciuto così tanto?
«Penso che la ragione sia dovuta al fatto che la cultura televisiva americana, così ben rappresentata nella storia, sia diffusa ovunque e quindi nota a tutti. Le sit-com vanno avanti dagli Anni 50 e quindi suonano familiari un po’ a chiunque, inoltre la serie è stata trasmessa in piena pandemia, in un momento in cui c’era bisogno di trovare una sorta di conforto, un punto di riferimento sicuro, in un momento difficile». Che cosa le ha insegnato il dramma del Covid?
«Ho imparato che bisogna vivere alla giornata, prima eravamo un po’ tutti come criceti presi dalla routine quotidiana, poi è successo che il mondo si sia fermato all’improvviso e che questo evento ci abbia fatti sentire uniti, in empatia con i nostri simili, come non era mai successo prima. Mi sono messa in sintonia con questa nuova realtà e ho capito che devo dedicare più tempo ad ascoltare me stessa». La scelta di cancellarsi dai social fa parte di queste considerazioni?
«Era da un po’ di tempo che ci pensavo, è stata una scelta assolutamente personale, non dettata da nessuno se non da me. Avevo notato che i social mi creavano ansia, spingendomi a inserire nel mio sistema di valori cose non importanti. Ho deciso di dare peso solo alle sensazioni autentiche, quelle che contano per me stessa, e di smettere di sentirmi sotto pressione a causa di gente sconosciuta senza volto». Che cosa le piace di più del suo mestiere?
«Stare sul set e poter collaborare al prodotto finale in tutti i modi possibili, quello è il momento in cui mi sento meglio e avverto forte la voglia di andare avanti». Che cosa, invece, non le piace affatto?
«Stare in pubblico. E poi andare alle feste per lavoro, quelle dove non conosci nessuno. Sono contenta di celebrare il cinema e i risultati degli artisti, ma non in quel modo». In «Love and death» sarà la killer texana Candy Montgomery, che cosa l’ha attratta di questa prova?
«E’ una sfida che mi emoziona molto, si tratta di un personaggio reale, molto diverso da quelli fatti finora, ho voluto esplorarlo in tutti i modi, nella sua ambiguità, nei suoi lati più oscuri. Credo che anche i toni del racconto siano particolari, un po’ da dark comedy, non del tutto drammatici». Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
«Mi piacerebbe partecipare di più alla produzione, dare consigli, essere più consapevole rispetto alla creazione delle storie. La regia è una vera arte, ho ancora tanto da apprendere prima di poter pensare alla possibilità di dirigere un film».