Perseguitati dal burocratese: il saggio del linguista Michele Cortelazzo

di GIAN ANTONIO STELLA

L’oscurità del linguaggio amministrativo è un problema antico. Il volume edito da Carocci mette sotto accusa un gergo che è anche uno strumento di potere

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Lorenzo Marini (1958), «Mirrortype» (2021), installazione site-specific in acciaio specchiato realizzata in occasione della monografica in corso a Siena

«Non possiamo per la bravura incomprensibile di tecnici lunari pagare lo scotto di una rottura del rapporto di fiducia tra i cittadini e lo Stato! Non è possibile!». Sono passati 28 anni da quel 17 giugno ’93 in cui la lettura d’un demenziale modello 740 mandò su tutte le furie l’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro: «Il cittadino ha il diritto di avere un foglio in mano, quattro pagine e quattro facciate con scritte poche cose comprensibili da tutti! E il governo non può certo dire “è l’ultima volta”!»

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Michele Cortelazzo è nato nel 1952 a Padova, dove si è laureato in Lettere con Gianfranco Folena nel 1974. Attualmente è professore ordinario di Linguistica italiana nel Dipartimento di Studi linguistici e letterari ed è direttore della Scuola galileiana di studi superiori dell’Università di Padova

Ventotto anni. Per un totale di diciassette governi. Eppure, accusa Michele Cortelazzo, già preside della Facoltà di Lettere e filosofia a Padova, tra i massimi studiosi del linguaggio burocratico, «è facile verificare che sul piano del linguaggio non solo non si sono fatti passi in avanti, ma si è intrapresa una vera e propria marcia indietro». Ma come: se dopo quello sfogo dell’allora capo dello Stato la parola semplificazione (con tutte le varianti: semplificare, semplificato...) in abbinata con la parola burocrazia (e varianti) è comparsa sull’Ansa in 2.786 articoli! Un diluvio di rassicurazioni, promesse, impegni... Vero, risponde il linguista, autore del saggio Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione (208 pagine, Carocci editore), ma il risultato finale è scadente. Per non dire di peggio. Compresi gli ultimi mesi.

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Il saggio di Michele Cortelazzo sugli eccessi del burocratese s’intitola «Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione» ed è pubblicato dalla casa editrice Carocci (pp. 208, euro 19)

Oddio, ricorda l’autore, non che il problema sia nuovo: già «Ugo Foscolo, nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1799), scrive che “i pubblici atti e le leggi sono scritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasi suggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta” e pochi anni dopo, nel 1803, Vincenzo Monti, nella Prolusione agli studj dell’Università di Pavia per l’anno 1804, critica “il barbaro dialetto miseramente introdotto nelle pubbliche amministrazioni, ove penne sciaguratissime propagano e consacrano tutto il dì l’ignominia del nostro idioma”».

Per non dire di come ancor prima, nel 1540, Benedetto Varchi deplorasse nella Storia fiorentina l’uso di un «gergo a uso di lingua furfantina». Studiata apposta per essere capita, manipolata e imposta, a danno dei cittadini, da chi possedeva il potere. Tema ripreso sul «Corriere» nel 1992, a riprova di quanto nei secoli il linguaggio fosse cambiato ma restando «furfantino», da Claudio Magris: «La correttezza della lingua è la premessa della chiarezza morale e dell’onestà. Molte mascalzonate e violente prevaricazioni nascono quando si pasticcia la grammatica e la sintassi e si mette il soggetto all’accusativo o il complemento oggetto al nominativo, ingarbugliando le carte e scambiando i ruoli tra vittime e colpevoli, alterando l’ordine delle cose e attribuendo eventi a cause o a promotori diversi da quelli effettivi, abolendo distinzioni e gerarchie in una truffaldina ammucchiata di concetti e sentimenti, deformando la verità». Il linguaggio, riassume il linguista padovano, resta quindi «una delle forme di potere esercitate dal ceto amministrativo, cioè dai burocrati, soprattutto di rango più elevato, nei confronti del cittadino». Un potere perfino autolesionista quando accetta di pagare poi il prezzo della sua incapacità comunicativa venendo assediato da «chi è costretto a rivolgersi anche più volte agli uffici pubblici per avere delucidazioni».

«Scrivere con le parole che userebbe il cittadino, anche colto», spiega lo studioso citando Italo Calvino e Antonio Gramsci, «a molti burocrati sembra un abbassarsi a un livello non consono alla dignità e al decoro che spettano all’istituzione per la quale si scrive e un accontentarsi di uno strumento espressivo che limita l’autorevolezza dei propri scritti». C’è poi da stupirsi se negli Stati Uniti il movimento per il plain language («cioè una lingua chiara, semplice, concisa») sorse una cinquantina d’anni fa «come movimento di consumatori» e se «nel Regno Unito è attivo dal 1979 un gruppo, la Plain Language Campaign, che fino a oggi ha riscritto in forma più chiara, verificato e accreditato con un apposito marchio, il Crystal Mark, 23.000 testi»? Non meriterebbe forse, questa nostra burocrazia, una class action, una richiesta danni collettiva contro l’abuso di surreali «art. 2790-vicies sexies»?

I deliri danno il capogiro. I richiami ossessivi: anzidetto, di cui sopra, preaccennato, predetto, suddetto, sudescritto, soprallegato, suelencato, suesposto, suesteso... Le sigle: oiv (organismo indipendente di valutazione), par (piano attuativo regionale), pat (piano di assetto del territorio), pof (piano dell’offerta formativa), pua (piano urbanistico attuativo), puc (progetti utili alla collettività), pza (piano di zonizzazione acustica), rup (responsabile unico del procedimento), suap (sportello unico per le attività produttive)»… Le abbreviazioni: «La presente verifica di assoggettabilità a vas, redatta ai sensi della procedura prevista dall’art. 4 della L.R. 16/2008 e dell’art. 12 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., riguarda la variante 48 al prgc…».

Certo, riconosce il linguista, c’è chi ha provato a cambiare quel linguaggio. Tra gli altri Sabino Cassese, che prima come studioso e poi come ministro tentò di introdurre una vera semplificazione del burocratese. Al punto di varare nel 1993 un Codice di stile e chiedere a programmatori scelti un software che spingesse i dipendenti pubblici a scrivere la parola «timbrare» e non «obliterare», «biglietto ferroviario» non «titolo di viaggio» e così via. I risultati di ogni sforzo, ministro dopo ministro, sono sotto gli occhi.

È subentrata anzi, via via, nonostante preziosi segnali di collaborazione con la Crusca, una sorta di rassegnazione alla impossibilità di scardinare sul serio il monolite burocratico. Esiste, per Michele Cortelazzo, «un segnale formale che indica con precisione questo arretramento». Il varo, nell’aprile 2013, ministro Filippo Patroni Griffi, di una nuova versione del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici dove fu cancellata la norma, presente in quella appena precedente, che intimava loro di «adottare un linguaggio chiaro e comprensibile nei testi scritti e in tutte le altre comunicazioni». Una resa umiliante. «Del resto, come ha notato il presidente onorario dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini», prosegue l’accusa del linguista, «la legge delega al governo del 7 agosto 2015 prevede che nei concorsi dell’amministrazione pubblica si accerti la “conoscenza della lingua inglese e di altre lingue” (cosa sacrosanta), ma non la padronanza della lingua italiana, orale e scritta, nella misura adeguata al livello di responsabilità a cui si aspira». Auguri.

Ma è possibile che, tra tanti problemi, contraddizioni, lacci e lacciuoli il gigantesco convoglio del Pnrr possa marciare sui binari giusti? «Mah...», sospira Cortelazzo: «Il Pnrr dichiara che “il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto, pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza”. Almeno le tre prime, per la loro attuazione efficace, richiederebbero un deciso intervento di semplificazione del linguaggio. Ma tutte e tre si scontrano, al contrario, con l’incapacità degli operatori stessi a semplificare: quello è il loro linguaggio». Il loro labirinto. Il loro fortilizio.

24 luglio 2021 (modifica il 24 luglio 2021 | 21:36)