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Riforma del fisco, le scelte per crescere

Riforma del fisco, le scelte per crescere
(ansa)
Nei prossimi giorni il Consiglio dei ministri dovrà varare il disegno di legge delega: assieme alla riforma della pubblica amministrazione e a quella della giustizia si tratta della terza gamba su cui si dovrà reggere l'impianto dell'intero Recovery Plan italiano
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La più tecnica delle riforme rischia di innescare il più politico degli scontri nella maggioranza forzosa che sostiene il governo Draghi. La settimana prossima, o più probabilmente qualche giorno dopo, con un leggero ritardo sulla tabella di marcia prevista, il Consiglio dei ministri dovrà varare il disegno di legge delega per la riforma fiscale. Assieme alla riforma della pubblica amministrazione e a quella della giustizia si tratta della terza gamba su cui si dovrà reggere l'impianto dell'intero Recovery Plan italiano e soprattutto, nelle intenzioni del governo, di una riforma abilitante, destinata cioè ad avere effetti positivi e amplificati sulla crescita economica dei prossimi anni.

Perché ciò avvenga, però, bisognerà fare un passaggio. Dal vasto programma - senza lista dei costi da sostenere - proposto dalla commissione bicamerale per la riforma del fisco, la cui ampiezza e in parte genericità sono il prezzo pagato per ottenere un documento approvato all'unanimità dalla maggioranza, con la sola astensione di Leu, bisognerà arrivare a una tabella di marcia che senza sconfessare gli obiettivi indicati dal Parlamento stabilisca le priorità. Proprio qui sta il nodo: come ha chiarito in questi giorni il ministro dell'Economia Daniele Franco nella sua audizione parlamentare, fondi per fare una rivoluzione nel fisco di sicuro non ce ne sono e pensare di attuare una riforma del genere facendo aumentare il deficit pubblico "non è uno scenario possibile" e quindi un governo come quello attuale non vorrà di sicuro realizzarlo. Dunque, la riforma del fisco, per la quale sono disponibili dai primi esami risorse per 3 miliardi, che potrebbero salire nel migliore dei casi fino a uno 0,5% del Pil, sarà piuttosto un'accurata selezione delle voci da cambiare, in alcuni casi anche con gettito invariato per le singole categorie di imposta.

Se il coro finora concorde e intonatissimo della riduzione delle tasse è stato cantato a piena voce da tutto il Parlamento, ora Franco dà il tempo ai coristi: per ridurre le imposte, specie sul fronte dell'Irpef, bisognerà mettere mano alle "tax expenditures", la giungla ormai inestricabile di sgravi e sconti fiscali che si è creata in anni di leggine ad hoc e che contribuisce a rendere poco efficiente il nostro sistema tributario. Ma potare questa giungla, spiega il ministro, "ha un costo politico", ossia le scelte che verranno fatte - favorendo una categoria di contribuenti e penalizzandone un'altra - saranno tutt'altro che indolori per chi rappresenta quegli interessi in Parlamento.

Il punto principale resta quello che la riforma deve diventare una nuova occasione per crescere, o perlomeno per non continuare a frenare lo sviluppo per via fiscale. Da questo punto di vista l'intenzione del governo - annunciata in audizione da Franco - di voler ridurre la tassazione sul lavoro intervenendo sul cosiddetto "cuneo fiscale" è una misura condivisibile e in effetti condivisa sia dalla Commissione europea sia dalle maggiori organizzazioni economiche internazionali, anche perché promette di poter aiutare la crescita del tasso di occupazione. Sul fronte delle imprese la scelta preannunciata dal governo di puntare alla cancellazione dell'Irap recepisce le richieste del Parlamento e non pare di ostacolo alla crescita se non per il rischio di alzare le aliquote dell'Ires e di scoraggiare così gli investimenti stranieri in Italia. Altre istanze parlamentari, come quella del mantenimento della "flat tax" per i lavoratori autonomi e di un regime agevolato per chi cresce poco, non vanno invece in questa direzione: sia per la sperequazione evidente con i lavoratori dipendenti, sia perché in questo caso gli incentivi alla crescita di dimensione delle piccole imprese diventerebbero negativi.

Ci sarà insomma molto da semplificare ma anche qualche difficile scelta politica da fare. La speranza è che come è accaduto per lo stop al cashback, le decisioni siano prese sull'evidenza dei numeri e non sull'onda di richieste alle volte unanimi solo perché nessuno si chiede chi dovrà pagarne il costo.

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